Puntuale, la minaccia è arrivata anche ieri. «Se volete vi mandiamo 15 mila rifugiati al mese e vi chiariamo le idee», ha fatto sapere ai leader europei il ministro degli Interni turco Suleyman Soylu. Ankara è tornata così ad agitare lo spauracchio di una sospensione dell’accordo sui migranti siglato con l’Unione europea esattamente un anno fa, il 18 marzo del 2016. Un’intesa a dir poco discutibile, che permise però a Bruxelles di chiudere la rotta balcanica attraverso la quale nel 2015 passarono centinaia di migliaia di rifugiati alla ricerca disperata di un approdo sicuro in Europa, quasi tutti siriani in fuga dalla guerra civile che, allora come oggi, devasta la Siria.

L’ACCORDO con Ankara fu il mezzo scelto dai leader europei per porre fine a un flusso imponente di uomini, donne e bambini. In cambio della garanzia di uno stop alle partenze dei migranti diretti verso le isole greche dell’Egeo, Bruxelles si impegnò a versare 6 miliardi di euro, ad aprire cinque nuovi capitoli per l’integrazione della Turchia in Europa e, soprattutto, a procedere alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi entro al fine del 2016. Ankara si impegnava inoltre ad riprendere i rifugiati arrivati in Grecia dopo la firma dell’accordo, mentre per ogni siriano ripreso uno sarebbe stato ricollocato in Europa dalla Turchia.

DALL’ONU ad Amnesty International, da Save the Children a Oxfam a Medici senza frontiere, non c’è stata praticamente organizzazione che non abbia denunciato fin da subito i pericoli insiti nell’accordo. Allarmi di fronte ai quali i 28 hanno però preferito chiudere occhi e orecchie, nascondendosi dietro l’ipocrita affermazione che in questo modo si sarebbero sottratti i migranti dalle mani dei trafficanti di uomini.

Va riconosciuto alla Turchia di aver fatto la sua parte. Nei dodici mesi appena trascorsi, ha riferito ieri una portavoce della Commissione europea, «il numero di arrivi irregolari dalla Turchia alle isole greche è crollato del 97%». Un «successo» pagato però su entrambe le sponde dell’Egeo dai migranti, rimasti bloccati in un limbo infernale creato anche dalla costruzione di muri ai confini interni dall’Unione. «A un anno dall’entrata in vigore dell’accordo, uomini, donne e bambini sono bloccati in zone non sicure da cui non possono scappare, costretti a rotte sempre più pericolose per raggiungere l’Europa o intrappolati in hotspot sovraffollati sulle isole greche, dove vivono in condizioni inadeguate», ha commentato ieri Msf.

IN SERBIA E GRECIA le situazioni più difficili. Oxfam ha denunciato come a Chio, Lesbo e Samos moltissimi migranti abbiano passato l’inverno sotto le tende, esposti al freddo e alle malattie e senza assistenza medica o sostegno psicologico. «L’accordo ha portato a una situazione in cui i più basilari diritti umani dei migranti vengono negati ogni giorno», spiega Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia, mentre il direttore per l’Europa di Amnesty, John Dalhuisen, ricorda come l’organizzazione abbia rilevato che «alcuni richiedenti asilo provenienti dalla Siria sono stati rinviati con la forza in Turchia in violazione del diritto internazionale, senza avere accesso alla procedura d’asilo e senza neanche poter contestare la decisione» .

A pagare più di tutti le conseguenze di questa situazione, sono ovviamente i bambini. Per Afshan Khan, direttore regionale e coordinatore dell’Unicef per la crisi dei rifugiati «è diventato un circolo vizioso: scappano dalle sofferenze e finiscono per scappare di nuovo o per affrontare quella che è di fatto una detenzione, o soltanto un totale abbandono». Costretti nei campi profughi, oppure ammassati da soli o con i genitori lungo confini resi invalicabili da recinzioni e soldati, pagano sulla propria pelle la colpa di voler vivere in un paese sicuro. Gli operatori dell’Unicef in Grecia, ad esempio, riferiscono di profondi livelli di sofferenza tra i bambini e le loro famiglie, compreso il caso di un piccolo di 8 anni che ha tentato gesti di autolesionismo. «Stress, ansia, aggressività e violenza sono all’ordine del giorno insieme all’utilizzo di droghe e prostituzione», prosegue l’Unicef.

NONOSTANTE le promesse fatte, Bruxelles esita a concedere la liberalizzazione dei visti a causa della pesante repressione messa in atto in Turchia, specie dopo il fallito colpo di stato del luglio corso. In particolare l’Ue chiede di modificare la legge anti-terrorismo, considerata un modo per colpire l’opposizione, sulla quale Ankara non ha però alcuna intenzione di cedere. E la crisi diplomatica seguita al rifiuto di Germania e Olanda di consentire comizi a favore del referendum di aprile sul presidenzialismo ha aggravato ulteriormente la situazione. Da qui l’ennesima minaccia, che spaventa l’Europa, di mettere fine all’accordo sui migranti. Minaccia che permette a uno che certamente non ama i migranti come Viktor Orban di ironizzare: «Porre la nostra sicurezza nelle mani dei turchi e allo stesso tempo criticarli per non essere abbastanza democratici è una politica sicuramente poco intelligente», ha detto ieri il leader ungherese. Per poi annunciare la costruzione di una seconda barriera anti-migranti al confine con la Serbia.