Domani gli iraniani andranno alle urne per eleggere il nuovo parlamento. La Repubblica islamica è una oligarchia di ayatollah e pasdaran, e non una teocrazia perché a dettare legge non è il Corano (Parola di Dio) ma costituzione e codici in parte mutuati dai Paesi europei, anche se il diritto di famiglia è pesantemente condizionato da quello islamico nella versione jafarita (sciita).

IL SISTEMA POLITICO della Repubblica islamica è complesso: il presidente e il parlamento sono eletti dal popolo, ma a fare una cernita dei candidati è il Consiglio dei Guardiani composto da 12 membri del clero scelti dal Leader supremo. Se il presidente è una innovazione del 1979 (fino ad allora regnava lo scià), il Parlamento risale alla Rivoluzione costituzionale del 1906-11. Oggi i deputati sono 290, 5 appartengono alle minoranze religiose (cristiani, ebrei, zoroastriani) e 30 sono scelti nella circoscrizione di Teheran dove il risultato elettorale è il barometro del Paese.

Nelle elezioni di domani la vittoria dei falchi è scontata, così come lo è la bassa affluenza alle urne da parte della classe media nei centri urbani delusa dalla dirigenza del proprio Paese, poco importa se di matrice conservatrice o moderata: in questi 41 anni di Repubblica islamica, entrambe le fazioni si sono dimostrate incapaci di gestire la cosa pubblica tant’è che a metà novembre 2019 l’esecutivo è stato costretto a ridurre i sussidi sul carburante. Certo, di mezzo ci sono anche le sanzioni del Tesoro statunitense, ma in uno Stato ricco di risorse si poteva fare meglio e gli iraniani ne sono consapevoli.

Se la classe media non andrà alle urne sarà anche per manifestare dissenso nei confronti dei pasdaran per la repressione messa in atto durante le proteste e per l’abbattimento per errore lo scorso 8 gennaio di un Boeing delle linee aeree ucraine con 176 persone a bordo, per lo più iraniani e molti naturalizzati canadesi. Ad andare alle urne saranno dunque i sostenitori dei conservatori, ovvero quel 30% della popolazione che sostiene il clero integralista, i pasdaran e la magistratura. La vittoria dei falchi è scontata perché il Consiglio dei Guardiani ha promosso solo 7148 candidati e ne ha squalificati 7296.

NELLA PARTITA CHE SI GIOCA domani è stato messo fuori gioco un terzo dei deputati in carica tra cui Ali Motahari e Mahmoud Sadeghi, colpevoli di avere mosso qualche critica di troppo alle istituzioni. L’organo preposto alla cernita dei candidati non li ritiene abbastanza in linea con l’ideologia della Repubblica islamica, squalifica senza fornire prove, spesso si limita a verificare i toni dei tweet del candidato di turno.

Che cosa cambierà con un parlamento a maggioranza conservatrice? Non molto, perché le leggi promulgate devono passare al vaglio del Consiglio dei Guardiani che non tollera vere riforme. Le questioni importanti – politica estera e nucleare – sono prerogativa del leader supremo Ali Khamenei che decide la pace e la guerra. A pagare il prezzo di un majles (così si chiama il parlamento in persiano) a maggioranza conservatrice sarà il presidente Rohani, già indebolito dall’affossamento dell’accordo nucleare da parte dell’amministrazione Trump e dalla mancata ripresa economica che rientrava tra le sue promesse elettorali. I falchi non si accaniranno ulteriormente contro di lui cercando l’impeachment, ma lasceranno che sia l’opinione pubblica a prendersela con l’uomo in cui tanti avevano creduto.
Oltre a Rohani, a pagare il prezzo di un parlamento a maggioranza conservatrice saranno le donne: sono sempre stati i moderati a permettere di promulgare le leggi per dare qualche possibilità in più alle iraniane. Lo scorso anno, per esempio, hanno finalmente avuto il diritto di passare la cittadinanza ai figli nati dal matrimonio con uno straniero, diritto che le italiane hanno avuto nel 1983.

NEGLI ULTIMI DIECI ANNI i falchi hanno tolto di mezzo i loro avversari riformatori, basti pensare che i leader del movimento verde del 2009 sono agli arresti domiciliari dal 2011. Su Instagram i loro fans li possono vedere in foto, invecchiati e smagriti. I conservatori hanno dato un calcio anche ai moderati, mettendoli a margine, e ora vogliono garantirsi il controllo di tutte le istituzioni per assicurare un tranquillo passaggio di poteri nel dopo-Khamenei. Preso il parlamento, sceglieranno un candidato in grado di accaparrarsi la poltrona nelle presidenziali del 2021. All’orizzonte, nessun riformatore, nessun moderato. Non c’è nemmeno il generale Soleimani, che nei sondaggi batteva il leader supremo, il presidente Rohani e il ministro degli Esteri Zarif.

Che cosa cambierà in Medio Oriente con un parlamento iraniano a maggioranza conservatrice? Cambierà qualcosa nella retorica, perché i falchi di Teheran non perdono occasione per inveire contro gli Stati uniti, Israele e le monarchie sunnite sulla sponda sud del Golfo persico. Con un parlamento così, il clima non sarà più disteso. E sarà tutto più complicato anche per l’Unione europea.