«Prima di modificare un sistema di regole sulle intercettazioni che offre un bilanciamento ragionevole tra le esigenze delle indagini e quelle di riservatezza, sarebbe bene valutare la tenuta e gli effetti delle riforme precedenti». Anche il garante nazionale della privacy, il professor Pasquale Stanzione, mette in guardia il parlamento dal modificare la legge Orlando, che ha cinque anni di vita ma solo due – per via dei ripetuti rinvii dei governi Conte – di applicazione. È un nuovo stop alla furia modificatrice che ha nel ministro Nordio il più loquace interprete, tranne che per un aspetto, effettivamente problematico. Lo stesso che già precedenti audizioni davanti alla commissione giustizia del senato – dove sta andando avanti un’indagine conoscitiva sulle intercettazioni – avevano individuato. E cioè l’impiego del captatore informatico, il famoso Trojan. Delle cui potenzialità e rischi i senatori prendono consapevolezza in diretta, ascoltando i tecnici e i giuristi.

Si è scoperto infatti che esistono software utilizzabili dalle procure che sono in grado non solo di trasformare il telefono in un microfono ambientale, attivandone la registrazione, e di accedere a tutto il contenuto (mail, foto, video, messaggi, rubrica, cronologia di navigazione) ma anche di fabbricare un’eventuale prova – per esempio attivando il browser o scaricando immagini – senza lasciare traccia. Trojan del genere secondo il garante «devono essere vietati». Ma soprattutto, ha avvertito Stanzione, «i software devono essere idonei a ricostruire nel dettaglio ogni attività svolta». Oggi non è così, come aveva già raccontato ai senatori il consulente informatico Paolo Reale e come ha confermato ieri l’ingegner Lelio Della Pietra, secondo il quale per la ricostruzione dettagliata delle attività del captatore informatico bisogna fidarsi delle aziende private che forniscono il servizio alle procure della Repubblica. Aziende che hanno accesso, per la manutenzione, ai server che gestiscono i Trojan e dunque possono anche intervenire in modifica.

Della Pietra, dopo Reale, è il secondo consulente di parte che il senatore di Forza Italia Zanettin ha chiamato in audizione direttamente dalla difesa della più celebre vittima del Trojan, l’ex magistrato Luca Palamara, sotto processo a Perugia per corruzione. Convocazione che è stata criticata dall’opposizione, anche perché – come hanno fatto notare la senatrice Rossomando e il senatore Bazoli del Pd – al caso Palamara si applicano regole che sono state superate dalla riforma Orlando. La commissione ha ascoltato anche il rappresentante delle aziende del settore intercettazioni (settore molto concentrato, in sei controllano il 75% del mercato e hanno come clienti pressochè unici le procure) secondo il quale non si può pensare di risparmiare sulle intercettazioni (come ha detto di voler fare Nordio) perché le tariffe sono state appena riviste al ribasso e le aziende devono poter investire in tecnologia «perché la criminalità non smette di attrezzarsi».

D’altro canto il numero complessivo di intercettazioni è in calo, come ha riferito al senato il professor Gian Luigi Gatta, già consigliere della ministra Cartabia: nel 2021 il totale dei “bersagli” è sceso sotto i centomila per la prima volta da oltre dieci anni. «Se il parlamento vuole rivedere le regole sul Trojan può prendere spunto dalle decisioni della Corte costituzionale tedesca», ha detto ancora il garante della privacy. In due sentenze la Corte di Karlsruhe ha imposto dei limiti al legislatore federale, introducendo garanzie per il cosiddetto «domicilio informatico». «Ma così la Germania», è stata la reazione immediata del senatore Scarpinato, punta di lancia dei 5 Stelle in commissione, «è diventata l’Eldorado dei capitali mafiosi».