Le 5 «ordinanze» della riforma del lavoro sono state pubblicate ieri sul Journal Officiel (Gazzetta Ufficiale francese) e alcune disposizioni entrano in vigore immediatamente, prima del voto al Parlamento, mentre per altre sono attesi i decreti di applicazione. La France Insoumise (Fi), che intende incarnare il principale partito di opposizione, ha risposto con una grande manifestazione a Parigi, «un successo» per il leader Jean-Luc Mélenchon, 150mila persone (ma 30mila per la Prefettura) della Marcia contro il «colpo di stato sociale» di Macron.

Malgrado il Journal Officiel, per Mélenchon la lotta continua: c’è l’ipotesi per sabato prossimo di un’altra manifestazione, con le casseruole, un «cacerolazo» modello sudamericano, e poi un grande appuntamento «in milioni sui Champs Elysées» che potrebbe aver luogo nella seconda metà di ottobre, hanno ipotizzato ieri sera a France Insoumise. In ogni caso, lunedì sono già previste proteste dei camionisti, poi il 28 scendono in piazza i pensionati e il 10 ottobre i dipendenti pubblici (la riforma del lavoro non li riguarda).«La battaglia non è finita, è solo all’inizio!». ha concluso Mélenchon, in un discorso di un’ora di fronte alla place de la République gremita. «Perché le ordinanze abbiano forza di legge devono ripassare di fronte al Parlamento» ha ricordato Mélenchon, promettendo una battaglia con i suoi 11 deputati. L’obiettivo è la «convergenza delle lotte»: non solo contro le ordinanze (iter accelerato) della riforma del lavoro, che riguarda i 18 milioni di lavoratori del settore privato, ma anche contro la politica fiscale annunciata, contro il taglio di 5 euro all’Apl (assegno personalizzato per casa), contro il Ceta (accordo Ue-Canada), contro i «prerequisiti» per l’iscrizione all’università che preludono a una forma di selezione, contro quella che viene considerata una «politica alla Thatcher» di Macron. Mélenchon ha lanciato un appello ai giovani, che erano presenti ieri nel corteo parigino, ma non in massa: «è il vostro turno di entrare nell’azione».

È la risposta della «piazza» alla nuova e infelice dichiarazione di Macron (da New York qualche giorno fa, su Cnn, ai margini della riunione all’Onu), «la democrazia non è la piazza» (dopo l’attacco contro i «fannulloni»). Ma è «la piazza che porta le aspirazioni dei francesi», «la piazza che ha abbattuto il nazismo, il piano Juppé, il Cpe», ha detto Mélenchon preso dall’entusiasmo di un corteo che ha scandito a lungo «resistenza».

Il corteo ha cercato di mostrare un volto unitario dell’opposizione. La giornata di ieri è stata inserita in una sequenza, iniziata con le due proteste guidate dalla Cgt il 12 e il 21 settembre. Mélenchon ha rivolto «un saluto fraterno ai sindacalisti che hanno aperto la strada», con l’obiettivo di costruire un fronte unitario, che finora è mancato, «siamo pronti a schierarci dietro di loro». I sindacati vanno avanti in ordine sparso, la Cfdt critica certi contenuti della riforma ma non manifesta, Force ouvrière, che era al fianco della Cgt nella battaglia contro la Loi Travail di Hollande, adesso cerca la mediazione. Ieri varie organizzazioni si erano unite alla France Insoumise per la manifestazione, come Attac, l’ex avversario delle presidenziali, il candidato socialista Benoît Hamon era in testa accanto a Mélenchon e ai deputati di FI, c’era Pierre Laurent, segretario del Pcf, che ha avuto tensioni con il leader di FI.

Mélenchon afferma che «la battaglia è repubblicana, non sociale»: il suo principale obiettivo è far cadere il governo, obbligare Macron a tornare alle urne, accusandolo di «illegittimità», di essere stato eletto non per il programma ma per battere Marine Le Pen (Macron ha però ottenuto la maggioranza alle legislative con Rem). La Cgt è invece soprattutto concentrata sulla battaglia contro la riforma del lavoro.

La manifestazione è stata pacifica, c’è stato solo un breve momento di tensione prima del discorso di Mélenchon, quando un gruppetto di black bloc della Mili (Movimento inter-lotte indipendente) ha cercato di salire sul palco al grido di «né dio né padrone né Mélenchon», allontanati dalla risposta della piazza: «fascisti».