La ditta livornese Cheddite, al centro della polemica su cartucce col suo marchio ritrovate in Myanmar nel marzo scorso nei teatri di scontro tra popolazione civile e militari golpisti birmani, continua a non rispondere alle nostre richieste di chiarimenti. Stesso discorso per l’azienda turca che detiene il marchio Yaf (la ZSR Patlayici Sanayi A.S.), attraverso la quale si sospetta siano arrivate su suolo birmano le cartucce italiane da caccia calibro 12 in questione.

LA RISPOSTA DEL GOVERNO all’interrogazione parlamentare di Erasmo Palazzotto – di cui il manifesto ha dato conto giovedì scorso – su come l’embargo sulle armi a cui l’Ue sottopone il Myanmar dagli anni ‘90 possa essere stato aggirato, è molto dettagliata anche grazie a un controllo effettuato dalla Questura di Livorno all’azienda franco-italiana.

La risposta, affidata al sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (5 Stelle), conferma quella che il manifesto aveva definito «la pista turca», ovvero la fornitura alla ditta anatolica in questione di «kg 400.000 di polvere senza fumo per la produzione di cartucce da caccia e da tiro per fucili ad arma liscia» il 26 febbraio 2020 e il 20 gennaio 2021. Del resto, fino a pochi anni fa, l’azienda italo-francese Cheddite, come dimostrano le visure camerali, aveva partecipazioni dirette nella Yaf turca che avrebbero consentito alla ditta anatolica di produrre in proprio e commercializzare cartucce a marchio Cheddite-Yaf molto probabilmente direttamente in Turchia.

UN RAPPORTO, questo tra le due aziende, che quindi non si è interrotto dopo la vendita delle quote Yaf da parte di Cheddite, visto che l’esecutivo italiano ha confermato la vendita ai turchi della materia prima utile alla produzione di quelle cartucce (in questo caso la polvere senza fumo) anche in tempi recenti.
Nella sua risposta a nome del governo, il sottosegretario Di Stefano ha parlato anche della richiesta, avanzata dalla Cheddite nel settembre 2018 e ritirata esattamente un mese dopo, per esportare direttamente in Myanmar 600.000 cartucce calibro 12. Confermando l’esistenza almeno in un caso accertato di contatti diretti con quel Paese.

Salta poi all’occhio, la presenza nel consiglio di amministrazione dell’azienda, di Frederic Yvan Tung Gia Pham, cittadino francese il cui cognome riconduce a probabili origini in quella che è l’ex Indocina francese. Da una semplice ricerca online, Pham, dopo aver avuto a Parigi una propria azienda (la Euro-Outdoor) finita al Tribunale fallimentare, sembra ora ricoprire ruoli, oltre che nel cda della Cheddite di Livorno, anche in altre aziende attive nella produzione e nel commercio di armi e munizioni, dalla Francia al Quebec, passando per la Spagna, quali ad esempio la Mary Arm SA, la Nobel Sport Espana SA e la Munitions Challengers.

LA RISPOSTA A PALAZZOTTO (pende ancora quella alla deputata Lia Quartapelle) era stata sollecitata anche da una rete della società civile italiana che, dopo aver chiesto chiarimenti alla Cheddite il 18 marzo (senza risposta) si era poi incontrata col sottosegretario. «La risposta di Di Stefano – commenta Giorgio Beretta di Opal – è molto articolata e conferma l’effettiva possibilità che munizioni o parti di esse prodotte in Italia siano tuttora esportate dall’azienda turca in Myanmar, come è avvenuto nel 2014. Succede perché, la legge 110/1975 (che regolamenta le esportazioni di armi e munizioni comuni, sportive e da caccia) a differenza della legge 185/1990 (che regolamenta l’export di armi e munizioni di tipo militare) non richiede che l’azienda notifichi alle autorità italiane il destinatario e utilizzatore finale delle armi e munizioni esportate. Un problema che va al più presto risolto».

ANCHE A CECILIA BRIGHI di Italia Birmania Insieme la risposta a Palazzotto sembra «puntuale» anche se, aggiunge, «non si pronuncia sul fatto se il governo intenda o meno sostenere le modifiche alla legge 185/90 presentate in parlamento in modo da ricondurre tutte le esportazioni di armi e munizioni al regime previsto dalla 185/90». Un punto condiviso anche da Raffaele Crocco, direttore dell’Atlante delle guerre: «È chiaro che il buco legislativo va colmato in modo da impedire che cartucce per cacciare cinghiali diventino proiettili per uccidere persone».