Economia

Profezie di recessione, stime da economia di guerra

Profezie di recessione, stime da economia di guerra

Stime Per Confindustria crescita azzerata nel 2023. Per l’Eni l’inverno più duro sarà il prossimo senza rigassificatori e altre strutture. Il paradosso della policrisi capitalistica: più energie fossili per farne a meno. Un giorno

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 9 ottobre 2022

Nel borsino delle previsioni economiche disastrose sul 2023 quella fatta ieri da Confindustria è da record. Si piazza subito prima quella fatta dall’agenzia di rating Fitch secondo la quale il Pil crollerà dall’attuale +3,4% a un meno 0,7%. Secondo il Centro studi degli industriali l’economia italiana sarebbe ferma da luglio scorso e il prossimo anno la sua crescita sarà a zero a causa della stagflazione globale prodotta dalla crisi del Covid, della speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari, la guerra russo-ucraina e altre catastrofi capitalistiche e neoimperialiste.

L’incertezza è massima. Un decimale in più o in meno di inflazione, o di Pil, equivale, tra l’altro, a più o meno casse integrazioni e licenziamenti. O a più povertà tra chi lavora e meno reddito per sostenere le spese essenziali. In questa situazione, sono esclusi aumenti salariali e rinnovi di contratti. Tutte le previsioni dall’Fmi alla Commissione Europea, per non parlare di quelle contenute nella Nadef del governo Draghi, girano a vuoto per ora e dipendono dai fattori geo-militari del conflitto, dalla strategia recessiva adottata dalla banche centrali che stanno aumentando i tassi di interesse, dalle guerre dei prezzi sull’energia o dal tetto europeo sul gas attualmente in discussione.

In questa cornice il centro Studi di Confindustria ieri ha sostenuto che, nella sola manifattura, i costi energetici salgono di 43 miliardi. Andrà meglio «se si riuscisse a imporre un tetto di 100 euro al prezzo del gas»: il Pil «guadagnerebbe l’1,6% nel biennio. L’inflazione, «salita rapidamente nel corso del 2022, arrivando al +8,9% annuo a settembre su valori che non si registravano dagli anni ottanta», nelle previsioni «resterà sugli elevati valori attuali per la parte finale del 2022», per quest’anno «in media si assesterà al +7,5% (da +1,9% nel 2021)» mentre «nel 2023, è attesa in discesa, ma ancora elevata, al +4,5%».

L’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia) ieri ha previsto una stangata da almeno 92 miliardi di euro. A pagare il conto più salato sono le famiglie residenti nelle grandi città, dove il caro vita si fa sentire maggiormente. A Roma l’inflazione brucerebbe 7,42 miliardi di risparmi familiari, a Milano 7,39, a Torino 3,85, a Napoli 3,33, a Brescia 2,24 e a Bologna 1,97. Tra le meno esposte Enna, con 156 milioni, Isernia con 153 e Crotone con 123.

Altro contributo alla profezia della catastrofe è stato quello di un sondaggio sul sito www.coldiretti.it secondo il quale crisi energetica e rincari in bolletta spingeranno un italiano su cinque a cucinare di meno e a mangiare pietanze precotte.

L’intervento più importante che ieri ha disegnato uno scenario verosimile, e ha sottinteso decisioni anche impopolari, lo ha fatto l’amministrato delegato di Eni Claudio Descalzi secondo il quale l’inverno 2023-24, dunque non questo, sarà il più duro se, in sostanza, non si porterà (per tre anni?) un rigassificatore galleggiante nel porto di Piombino. «Abbiamo 1/3 dei rigassificatori che ci servono e dobbiamo aumentare la capacità di stoccaggio» ha detto. E si preannunciano nuovi «progetti» di estrazione, per esempio nel mare Adriatico. Solo così «possiamo continuare la nostra trasformazione» (green). È un altro paradosso della policrisi capitalistica: più energie fossili per farne a meno. Un giorno

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