Profezie di recessione, stime da economia di guerra
Stime Per Confindustria crescita azzerata nel 2023. Per l’Eni l’inverno più duro sarà il prossimo senza rigassificatori e altre strutture. Il paradosso della policrisi capitalistica: più energie fossili per farne a meno. Un giorno
Stime Per Confindustria crescita azzerata nel 2023. Per l’Eni l’inverno più duro sarà il prossimo senza rigassificatori e altre strutture. Il paradosso della policrisi capitalistica: più energie fossili per farne a meno. Un giorno
Nel borsino delle previsioni economiche disastrose sul 2023 quella fatta ieri da Confindustria è da record. Si piazza subito prima quella fatta dall’agenzia di rating Fitch secondo la quale il Pil crollerà dall’attuale +3,4% a un meno 0,7%. Secondo il Centro studi degli industriali l’economia italiana sarebbe ferma da luglio scorso e il prossimo anno la sua crescita sarà a zero a causa della stagflazione globale prodotta dalla crisi del Covid, della speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari, la guerra russo-ucraina e altre catastrofi capitalistiche e neoimperialiste.
L’incertezza è massima. Un decimale in più o in meno di inflazione, o di Pil, equivale, tra l’altro, a più o meno casse integrazioni e licenziamenti. O a più povertà tra chi lavora e meno reddito per sostenere le spese essenziali. In questa situazione, sono esclusi aumenti salariali e rinnovi di contratti. Tutte le previsioni dall’Fmi alla Commissione Europea, per non parlare di quelle contenute nella Nadef del governo Draghi, girano a vuoto per ora e dipendono dai fattori geo-militari del conflitto, dalla strategia recessiva adottata dalla banche centrali che stanno aumentando i tassi di interesse, dalle guerre dei prezzi sull’energia o dal tetto europeo sul gas attualmente in discussione.
In questa cornice il centro Studi di Confindustria ieri ha sostenuto che, nella sola manifattura, i costi energetici salgono di 43 miliardi. Andrà meglio «se si riuscisse a imporre un tetto di 100 euro al prezzo del gas»: il Pil «guadagnerebbe l’1,6% nel biennio. L’inflazione, «salita rapidamente nel corso del 2022, arrivando al +8,9% annuo a settembre su valori che non si registravano dagli anni ottanta», nelle previsioni «resterà sugli elevati valori attuali per la parte finale del 2022», per quest’anno «in media si assesterà al +7,5% (da +1,9% nel 2021)» mentre «nel 2023, è attesa in discesa, ma ancora elevata, al +4,5%».
L’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia) ieri ha previsto una stangata da almeno 92 miliardi di euro. A pagare il conto più salato sono le famiglie residenti nelle grandi città, dove il caro vita si fa sentire maggiormente. A Roma l’inflazione brucerebbe 7,42 miliardi di risparmi familiari, a Milano 7,39, a Torino 3,85, a Napoli 3,33, a Brescia 2,24 e a Bologna 1,97. Tra le meno esposte Enna, con 156 milioni, Isernia con 153 e Crotone con 123.
Altro contributo alla profezia della catastrofe è stato quello di un sondaggio sul sito www.coldiretti.it secondo il quale crisi energetica e rincari in bolletta spingeranno un italiano su cinque a cucinare di meno e a mangiare pietanze precotte.
L’intervento più importante che ieri ha disegnato uno scenario verosimile, e ha sottinteso decisioni anche impopolari, lo ha fatto l’amministrato delegato di Eni Claudio Descalzi secondo il quale l’inverno 2023-24, dunque non questo, sarà il più duro se, in sostanza, non si porterà (per tre anni?) un rigassificatore galleggiante nel porto di Piombino. «Abbiamo 1/3 dei rigassificatori che ci servono e dobbiamo aumentare la capacità di stoccaggio» ha detto. E si preannunciano nuovi «progetti» di estrazione, per esempio nel mare Adriatico. Solo così «possiamo continuare la nostra trasformazione» (green). È un altro paradosso della policrisi capitalistica: più energie fossili per farne a meno. Un giorno
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