Lo scorso sabato gli attivisti di alcune ong algerine hanno protestato ad Algeri e istituito un comitato per combattere «la tortura e la violenza contro i prigionieri di coscienza e di opinione», dopo che le accuse di maltrattamenti e di stupro su alcuni detenuti hanno scioccato l’opinione pubblica.

La testimonianza della scorsa settimana di Walid Nekkiche, studente di 25 anni che ha affermato di essere «stato torturato e stuprato da membri dei servizi di sicurezza», ha suscitato un moto di indignazione in tutto il paese e ha costretto l’ufficio del procuratore generale del Tribunale di Algeri ad aprire un’indagine.

Nekkiche era stato arrestato a fine novembre 2019 ad Algeri durante una marcia degli studenti dell’Hirak, il movimento di protesta anti-regime. Ha detto di essere stato vittima di violenze mentre era in custodia presso il Centro Antar, una caserma alla periferia della capitale, conosciuta come luogo di interrogatorio da parte dei servizi di sicurezza.

Come reazione numerose associazioni hanno deciso di organizzarsi nel «Comitato per la lotta alla tortura e alle condizioni disumane delle carceri dei detenuti in Algeria», network che riunisce sotto di sé il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti (Cnld), il Collettivo di avvocati difensori per i prigionieri d’opinione e la Lega algerina per i diritti umani (Laddh).

Walid Nekkiche al momento del rilascio (Fonte: Amnesty)

«Segnalando gli abusi subiti ai magistrati, Walid Nekkiche ha infranto l’omertà dimostrando il suo coraggio – ha affermato Nacera Hadouche, avvocata del network – Il suo stupro è lo stupro di tutti noi come popolo, società civile e attivisti, proprio per questo abbiamo sporto denuncia e richiesto alla giustizia di intervenire secondo le leggi algerine e internazionali».

Nella loro dichiarazione ufficiale gli attivisti hanno avvertito il governo: questa indagine preliminare non deve essere l’ennesimo sotterfugio «per calmare rabbia e indignazione». Hanno chiesto la chiusura di luoghi di tortura come Antar dove, secondo centinaia di testimoni, ci sono stati «numerosi casi di maltrattamenti, violenze e torture».

L’ennesimo caso di repressione da parte del potere centrale – l’ultimo in ordine cronologico dopo la condanna a due anni del giornalista Khaled Drareni o del blogger Walid Kechida, arrestato per dei meme contro il regime su Facebook – giunge proprio all’approssimarsi del secondo anniversario dell’Hirak, il 22 febbraio 2019, che spinse il presidente Abdelaziz Bouteflika a dimettersi e diede nuovo impulso alla società civile algerina per la lotta contro un regime considerato corrotto e lontano dalle aspettative popolari.

A livello politico il presidente Abdemajid Tebboune, rientrato questo venerdì dopo l’ennesimo ricovero in Germania per un’operazione al piede, ha avviato dei colloqui con alcune forze politiche per un eventuale rimpasto della squadra di governo o, come affermato sul quotidiano Tsa-Algerie da Abdelkader Belaid del Fronte El Mustaqbal, per «sciogliere il parlamento entro il prossimo giovedì 18 febbraio, per indire nuove elezioni legislative».

Un tentativo da parte di Tebboune di prendere misure urgenti per far fronte alla profonda crisi economica, sociale e sanitaria, con l’obiettivo di placare un clima di proteste sempre maggiore che comprende i partiti delle opposizioni e i militanti dell’Hirak.

Lo scorso martedì diverse migliaia di persone hanno marciato a Kherrata (Algeria orientale), nonostante il divieto di manifestazioni a causa della pandemia, per celebrare il secondo anniversario del movimento che cominciò proprio da qui nel 2019, per poi diffondersi in tutto il paese con manifestazioni oceaniche.

Secondo il Cnld, più di 70 persone sono attualmente incarcerate in Algeria in relazione alle proteste, anche se il ministro della Comunicazione Belhimer ha ribadito questa settimana che «non ci sono prigionieri di opinione in Algeria».