Martedì 9 gennaio riprenderà in commissione Affari costituzionali del Senato l’esame del disegno di legge del governo che introdurrebbe in Italia una forma di premierato elettivo. Quel giorno ci sarà l’ultima tornata di audizioni, e già mercoledì inizierà la discussione generale sul testo, con ben tre sedute programmate per quel giorno, alle 9, alle 14 e alle 20. La road map stabilita dalla commissione prevede l’adozione del testo base il 19 o il 20 gennaio (all’esame, infatti, c’è anche il ddl di Iv), mentre il 27 i gruppi dovranno presentare gli emendamenti.

È difficile che i 7 giuristi che verranno ascoltati martedì prossimo dicano cose sostanzialmente diverse da quelli che finora hanno parlato in commissione, dove anche i pochi favorevoli all’elezione diretta del premier hanno smontato il testo del governo. La discussione generale servirà a capire le intenzioni dei gruppi di maggioranza che, tranne Fdi, si sono ben guardati dall’esprimersi. Silenzi, specie quelli della Lega, che vanno interpretati anche alla luce di quanto hanno affermato nei due giorni scorsi la presidente del consiglio Giorgia Meloni e il presidente del Senato Ignazio La Russa.

Quest’ultimo, nell’inconsueto ruolo per un presidente di Assemblea di giocatore in campo, ha concesso una intervista il 3 gennaio al Corriere della Sera, il cui principale scopo era quello di fare ammenda con la ministra Maria Elisabetta Casellati, il cui ddl era stato da lui randellato alla festa di Atreju. Al Corriere La Russa ha detto che si era «spiegato male» e che il ddl Casellati «non è stato peggiorato» dalle mediazioni della ministra, rispetto al presidenzialismo annunciato in campagna elettorale; «non è stato un errore la strada percorsa» da Casellati, anzi, è stato «saggio portare un testo meno invasivo possibile» rispetto alle prerogative del presidente della Repubblica. Fatta questa ammenda, La Russa, ha detto pure che lui preferirebbe la formula «simul stabunt, simul cadent», senza cioè la norma antiribaltone della Lega, che in realtà favorisce il cambio in corsa del premier eletto: «Se ci fosse un emendamento non mi straccerei le vesti», ha aggiunto, ma sottolineando che se anche la norma non venisse cancellata si tratterebbe di «una ipotesi di scuola messa nella riforma più per accontentare tutte le forze politiche coinvolte», vale a dire gli alleati di Lega e Fi. Ancora più laconica è stata Meloni durante la conferenza stampa del 4 gennaio. Ha infatti affermato solo che una soglia nella legge elettorale per accedere al premio del 55% dei seggi «ci sarà sicuramente»: parole piuttosto vaghe, visto che Casellati aveva già indicato nel 40% tale soglia. Più interessante politicamente il suo «sostegno» alle preferenze. Ma entrambi i temi sono fuori dal ddl Casellati.

In tutte queste settimane è stato invece evidente il silenzio della Lega, mentre Fi si è limitata ad affermare con il leader Antonio Tajani, il proprio «impegno» a portare avanti tutte le riforme del governo, vale a dire Autonomia differenzia, premierato, giustizia, senza tuttavia entrare nel merito.

Alla luce di quanto affermato da La Russa, alcuni quotidiani hanno ipotizzato che Fdi presenti un emendamento per eliminare la norma antiribaltone, ma questo non sarebbe gradito dalla Lega, non solo nel merito, ma anche nel metodo: se il ddl Casellati è frutto di una mediazione, si ragiona nel Carroccio, non si può procedere con emendamenti dei singoli gruppi di maggioranza. Anche perché il premierato si intreccia con l’Autonomia differenziata, che sarà già in aula il 16 gennaio, e su cui le tensioni sono evidenti. Infatti il ministro Calderoli, durante l’esame in commissione, ha dato il via libera a tutti gli emendamenti di Fdi che introducono criteri restrittivi nella procedura per concedere l’Autonomia, ma ha fatto muro contro le modifiche alla norma transitoria (art. 11) che preserva le pre intese di Veneto e Lombardia a tali restrizioni, cosa che non va giù al partito di Meloni. Al momento, dunque, Fdi, Lega e Fi si osservano e solo dopo l’approvazione dell’Autonomia in Aula si capirà meglio. Tuttavia ad oggi l’orientamento è che il 27 gennaio non arrivino emendamenti dai gruppi di maggioranza, in attesa di quelli delle opposizioni. Il destra-centro potrebbe accoglierne infatti qualcuno – come il limite dei due mandati per il premier eletto – così da far apparire che si è aperti al confronto con le minoranze.