Un aforisma attribuito a G.B. Shaw afferma: «L’ubriaco si appoggia al lampione non per essere illuminato ma perché altrimenti cadrebbe». Il detto salta in mente per quanto avvenuto ieri in Commissione Affari costituzionali del Senato, dove la maggioranza ha approvato il nuovo articolo 3 del ddl Casellati sul premierato, quello che introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Un meccanismo contraddetto dal successivo articolo 4 della riforma, soprattutto un sistema che sul piano tecnico-giuridico è irrealizzabile.

Tecnicamente la Commissione ha approvato un emendamento del governo che riscrive l’articolo 3 del ddl, quello che introduce l’elezione diretta del premier. L’emendamento si era reso necessario perché la prima versione del ddl non era parsa adeguata alla maggioranza. «Il Presidente del Consiglio – recita il testo approvato – è eletto a suffragio universale e diretto per 5 anni, per non più di due legislature consecutive». Rispetto alla prima versione è stato introdotto il limite dei due mandati. E poi il testo (che modifica l’articolo 92 della Costituzione) aggiunge: «Le elezioni delle Camere e del Presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente». E quest’ultimo avverbio, lo vedremo, apre la porta all’ignoto, quello della legge elettorale.

La redazione consiglia:
Sfiducie e riforme, la maggioranza sotto pressione

L’emendamento prosegue anodinamente: «La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività». Infine si stabilisce che «il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri».

L’argomento a favore dell’elezione diretta, sostenuto dalla ministra Casellati e dagli interventi dei senatori di maggioranza, è stato che il problema del sistema istituzionale italiano è l’instabilità dei governi. Difficile contraddire tale affermazione, mentre è stato facile per le opposizioni smontare quella consequenziale alla prima, vale a dire che l’instabilità si risolve con l’elezione diretta.

I due Paesi più stabili d’Europa, Germania e Spagna, non solo non hanno l’elezione diretta, ma addirittura hanno sistema elettorali proporzionali. La Francia, con il suo celebre semipresidenzialismo, ha avuto già sette governi diversi sotto i due mandati di Macron. Ma a contraddire l’assunto della stabilità tramite mandato popolare al Presidente del Consiglio è l’articolo 4 del ddl Casellati, che verrà discusso da oggi, ironicamente chiamato «norma antiribaltone».

Questo, dopo le infinite mediazioni nella maggioranza, istituzionalizza i «giochi di Palazzo» che la ministra ieri ha assicurato che cesseranno con il premierato elettivo. Il nuovo articolo 4 prevede che il premier eletto possa presentare «dimissioni volontarie» al Presidente della Repubblica, ottenere un nuovo incarico sostenuto da una maggioranza diversa da quella che lo ha appoggiato nelle urne, per esempio promuovendo nuovi gruppi di «Responsabili»; o anche che qualche partito di maggioranza possa negare la fiducia al premier su singoli provvedimenti, anche ripetutamente, senza che questi debba dimettersi, ma in questo modo sottoponendolo a logoramento politico. E prevede addirittura la «staffetta» all’interno della maggioranza vincitrice delle elezioni.

E poi c’è la legge elettorale su cui Casellati ha detto che si dovrà attendere la prima lettura di Senato e Camera del premierato prima che sia messa sul tavolo. Il ddl sul premierato stabilisce che tale legge dovrà prevedere che l’elezione di premier e Camere sia «contestuale».

Avverbio temporale? In tal caso gli elettori alle urne riceverebbero tre schede, una per il premier e due per Camera e Senato, con risultati che potrebbero essere difformi: un candidato premier potrebbe risultare il più votato ma non così la sua maggioranza.

Forse «contestuale» non è un avverbio di tempo ma di modo: l’elezione del Parlamento è «a traino» di quella del Premier e qui si entra nell’incostituzionalità, perché si limita la possibilità dell’elettore di scegliere i propri rappresentati alla Camera e al Senato, che sono organi diversi dal Governo. E anche in tal caso Camera e Senato potrebbero dare esiti diversi. La speranza è che il lampione di G.B. Shaw sia molto luminoso e solido.