Precarietà a vita: è la condanna dei ricercatori della sanità
Milano, 3 apr. (askanews) - L'estetica forse lascia un po' a desiderare, ma la sostanza c'è tutta. L'Istituto Superiore di Sanità (Iss) ha infatti dato nel pomeriggio il proprio parere favorevole alla produzione, all'utilizzo e alla commercializzazione delle mascherine ideate in Lombardia dalla Fippi di Rho, in provincia di Milano, azienda leader a livello europeo nel campo della produzione di pannolini per l'infanzia a marchio di terzi. Con l'approvazione dell'Iss le mascherine di Fippi sono equiparate a quelle chirurgiche certificate e potranno essere utilizzate dai sanitari all'interno degli ospedali e delle Rsa. Il materiale è stato testato anche dal Politecnico di Milano che ha confermato un potere filtrante, pari al 70% superiore a quello delle chirurgiche (tra il 50% e il 65%). "L'idea - ha raccontato nei giorni scorsi l'amministratore delegato, Claudio Guarnerio - è nata da un'esigenza interna dell'azienda: i dipendenti non si sentivano più sicuri a venire a lavorare senza dispositivi di protezione e quindi l'idea un po' balzana è stata quella di utilizzare la fascia elasticizzata dei pannolini a mutanda per produrre della mascherine a uso interno. Contemporaneamente siamo stati contattati dalla Regione Lombardia per capire se poteva nascere una collaborazione nel convertire un impianto per fornire questo dispositivo. La collaborazione ha riguardato anche la materia prima. Insieme a un'altra azienda specializzata in materiale medicale, la Atex, abbiamo individuato il materiale giusto e convertito un impianto". Il risultato è una linea di produzione in grado di sfornare ogni 24 ore da 500.000 a 900.000 pezzi, adattamento della fascia elastica dei cosiddetti pannolini a mutanda. "A livello tecnico - ha aggiunto il project manager Lorenzo Guarnerio - è stata un'impresa perché abbiamo dovuto riconvertire una delle nostre tecnologie per i pannolini dell'infanzia, abbiamo dovuto creare dei processi e aggiungere degli elastici, ma grazie al know-how, la tecnologia che abbiamo in casa e alle persone coinvolte in brevissimo tempo siamo riusciti a sviluppare questo prodotto. Adesso siamo pronti a commercializzarlo e a renderlo disponibile a tutti gli enti che ne hanno bisogno". L'autorizzazione dell'Iss è valida fino al termine dell'emergenza (datata dalla delibera del Consiglio dei Ministri al 31 dicembre 2020). Fippi è nata 50 anni fa, quando arrivavano sul mercato mondiale i primi pannolini per l'infanzia usa e getta. Con l'arrivo sul mercato delle grandi multinazionali l'azienda si è specializzata nella produzione di pannolini per conto di distributori con marchio proprio di 22 Paesi. Una dimostrazione di come anche un produttore italiano di beni con margini molto ristretti e forte competizione sui prezzi, i pannolini come le mascherine, possa resistere anche nel mondo globalizzato.
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Precarietà a vita: è la condanna dei ricercatori della sanità

I dimenticati della pandemia Finora esclusi dai provvedimenti straordinari, chiedono che il governo intervenga
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

Quando all’istituto «Spallanzani» di Roma fu isolato il Covid-19 per la prima volta, i riflettori si accesero sui veri (anzi, sulle vere) responsabili di quella scoperta. A mettere le mani sul virus era stata Francesca Colavita, una ricercatrice precaria che, anche grazie a quel risultato, ottenne poi la stabilizzazione del suo contratto di lavoro.

Di ricercatori come Colavita in questi anni c’è stato un gran bisogno. La pandemia non si combatte solo in corsia: negli ospedali si analizzano i tamponi, si lavora al microscopio, si mettono a punto strumenti diagnostici, si sviluppano nuove terapie: tutte mansioni demandate in gran parte ai ricercatori precari della sanità che lavorano negli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) e negli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (Ifs). Sono i centri di eccellenza riconosciuti e finanziati da parte del ministero della salute, come lo stesso «Spallanzani».

Eppure, mentre il governo ha avviato – solo avviato – una stabilizzazione straordinaria dei sanitari impegnati nella lotta al Covid e assunti a tempo determinato, si è «dimenticato» della ricerca.

«Son rimasti fuori 1290 ricercatori della sanità, con una media di precariato alle spalle di oltre dieci anni ciascuno», spiega Antonio Vadalà, uno dei membri dell’Associazione dei Ricercatori in Sanita Italia (Arsi). «Siamo stati esclusi da tutti i provvedimenti straordinari decisi durante il periodo pandemico» racconta «e stiamo chiedendo al governo di inserire la nostra stabilizzazione nella prossima legge finanziaria». Altrimenti? «Altrimenti la fuga dalla ricerca pubblica in sanità continuerà».

Non è una minaccia ipotetica. Nel 2019, i precari in servizio che oggi avrebbero diritto a una stabilizzazione erano 1800, e quasi un terzo ha già cambiato strada professionale. Si tratta di ricercatori formati a spese dello Stato e che lavoravano per la sanità pubblica, ma che oggi hanno portato altrove, all’estero o nel privato, le loro preziose competenze.

«All’epoca, visto che il Jobs Act impedisce di reiterare i vari contratti atipici con cui eravamo impiegati, il governo introdusse la “piramide della ricerca”, un contratto quinquennale rinnovabile una volta sulla base di requisiti in termini di pubblicazioni scientifiche che non sono richiesti nemmeno ai ricercatori già strutturati».

La «piramide» si è rivelata un percorso a ostacoli senza sbocchi. Secondo la maledetta regola del «publish or perish», chi non pubblica abbastanza viene sbattuto fuori. Ma chi sopravvive, dopo dieci anni di ricerca di eccellenza non acquisisce alcuna garanzia. Chi può permettersi una simile «carriera», dopo dieci o vent’anni di precariato già accumulati? «Tra di noi ci sono ricercatori che probabilmente arriveranno da precari alla pensione», racconta Vadalà.

Il 28 giugno, dopo una partecipata manifestazione e con il sostegno della Fp Cgil, l’Arsi ha ottenuto l’impegno del governo a mettere mano alla situazione dei precari della sanità. Oltre alla prossima finanziaria, l’occasione è offerta dalla legge delega di riordino degli Irccs, già approvata alla Camera e in discussione al Senato.

Anche questa strada appare accidentata. Nonostante la buona volontà dichiarata da tutte le forze politiche, gli emendamenti alla legge che puntavano a subordinare il riconoscimento degli Irccs alla loro dotazione organica, e dunque all’assunzione dei precari, sono stati misteriosamente ritirati.

Senza questi provvedimenti – fanno sapere i precari – non rimane che bloccare l’attività di ricerca e ricorrere alle vie legali, come già fatto in passato. Molti giudici hanno dato loro ragione, ma è una magra consolazione, perché i «soldi pubblici andrebbero a pagare rimborsi per abusi contrattuali piuttosto che essere investiti nella valorizzazione del personale».

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