«Le intercettazioni sono ovviamente uno strumento fondamentale per le indagini, ma uno strumento particolarmente penetrante nelle vite private. Il problema è sempre quello di rintracciare un equilibrio tra i valori costituzionali in gioco», premette il professor Vittorio Manes, docente di diritto penale a Bologna, avvocato, già componente della commissione insediata dall’ex ministra Cartabia per la riforma del codice di procedura. «La Corte di giustizia Ue – prosegue – ha indicato questo equilibrio ad esempio nel campo analogo della conservazione dei dati, segnalando che determinati strumenti di indagine possono essere utilizzate per reati particolarmente gravi. In materia di intercettazioni il nostro codice prevede analoghi limiti, prevedendole solo per reati puniti sopra 5 anni e stabilendo ulteriori limiti. Dopo di che l’escalation sanzionatoria degli ultimi anni sull’onda di un vero e proprio populismo penale ha spinto ad alzare le pene indiscriminatamente e dunque a estendere la possibilità di intercettare, spesso sulla base di elementi che non configurano neanche una notizia di reato».

Quali sono i problemi principali secondo lei?
Due. Il primo riguarda la divulgazione sistematica degli ascolti. Le intercettazioni per il codice sono mezzi di ricerca della prova, una volta pubblicate nell’immaginario si trasformano fatalmente in prove fatte e finite. Invece devono sempre essere verificate, contestualizzate e depurate dal materiale privo di rilevo penale e comunque irrilevante. Il secondo problema riguarda il travolgimento dei diritti dei terzi coinvolti. Magari terzi che non hanno nulla a che vedere con la vicenda di reato e che restano impigliati nelle intercettazioni una volta diffuse.

L’impiego estensivo del trojan crea problemi nuovi?
Aggrava quelli esistenti. Il trojan è uno strumento micidiale che amplifica la capacità investigativa, ma d’altra parte acutizza tutti gli aspetti di violazione della riservatezza accendendo una luce a giorno sulla vita integrale di una persona. Strumenti così invasivi possono essere ragionevoli solo in contesti particolari, come mafia e terrorismo, che ne giustificano l’impiego.

Il governo vuole adesso ripristinare la procedibilità d’ufficio per una lunga serie di reati minori, nei giorni scorsi si era accusata la riforma Cartabia di favorire l’impunità nei casi in cui manca la querela. Che ne pensa?
A me è sembrata da subito una polemica mal posta. La riforma Cartabia è stata conseguente con quarant’anni di dibattito e di invocazione di una riduzione dell’ambito del penalmente rilevante. Ha scommesso su alcuni istituti: deflazione processuale, particolare tenuità del fatto, procedibilità a querela per cercare di ridurre l’ambito penale. Ma va detta una cosa. Prevedere la querela non significa fare una depenalizzazione. La querela è uno strumento di «restituzione» del conflitto alle parti. Lo Stato prevedendo la querela non manifesta il disinteresse ad agire ma semplicemente subordina il proprio interesse a quello della parte, quando i valori in gioco sono principalmente privatistici. Tant’è che se la parte manifesta la volontà di agire lo stato la accompagna e dà seguito a quell’interesse. Bene. Adesso si vuole introdurre la procedibilità d’ufficio per tutti i reati a querela quando è prevista l’aggravante del metodo mafioso? D’accordo. Ma si poteva fare prima, durante e dopo la riforma Cartabia.

La maggioranza ha detto – anche formalmente approvando un ordine del giorno – che intende ritornare al regime della prescrizione sostanziale. Abbandonando quindi il nuovo istituto della improcedibilità introdotto dalla riforma. È favorevole?
Penso che la cosa veramente importante sia stata superare il grosso limite della riforma Bonafede, quando si era sostanzialmente introdotto il processo senza fine. Dopo di che se adesso si intende tornare in pieno al regime della prescrizione sostanziale dal mio punto di vista non posso che condividere.

Abuso d’ufficio. Il ministro Nordio ha detto giovedì alla camera che fosse per lui abolirebbe il reato. Ma che comunque sarà ridimensionato. Lei è d’accordo?
Ben venga la ricerca di una migliore tipizzazione di questo ma soprattutto di altri reati contro la pubblica amministrazione. A mio avviso oggi sono soprattutto altre fattispecie ad avere uno spettro applicativo eccessivamente ampio, con l’effetto di creare un’eccedenza punitiva.

Si riferisce per esempio al reato di traffico di influenza?
Sì. È un reato emblematico di una tipicità debole, persino ubiquitaria cioè imprevedibile. Soprattutto in un contesto come il nostro dove non c’è una chiara distinzione tra l’influenza illecita e l’influenza lecita e non c’è ancora una disciplina chiara dell’attività di lobbing.