La manovra resta senza pace. Il testo è arrivato ieri a palazzo Madama, le commissioni del Senato inizieranno ora a discuterlo. Il premier Giuseppe Conte ha incontrato ieri sera i sindacati che, per quanto concilianti con il governo anti Salvini, soddisfatti non sono e chiedono modifiche. La serenità auspicata da Conte, dal ministro Gualtieri e dal segretario del Pd Zingaretti continua a latitare. Il comunicato diramato ieri dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti è un j’accuse affilato: «Non è normale che il ministro venga a scoprire dalla rete dell’esistenza di norme che riguardano il suo settore senza che sia stato neppure coinvolto». Non è la sola lamentazione del ministro che aveva minacciato le dimissioni per la penuria di fondi. Forse l’ipotesi dell’addio non è più in campo, ma le risorse, parola sua, restano «insufficienti». Di qui la promessa di rivedersi in parlamento per rimettere mano anche da questo punto di vista al disgraziato testo.

NON SARÀ L’UNICO ritocco già prevedibile. La plastic tax cambierà, senza dubbio. Luigi Di Maio la difende a spada tratta, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, pur dicendosi disponibile ad «aggiustamenti», pure: «E’ una tassa giusta ma occorre modularla bene». Parole nelle quale è implicita l’ammissione di non aver modulato a dovere, in particolare distinguendo i contenitori riciclabili da quelli monouso. Dunque le modifiche ci saranno, anche con l’inserimento di incentivi per la riconversione, ma inevitabilmente a quel punto si porrà il problema di coprire il gettito mancante, magari attingendo ai fondi, già inconsistenti, destinati al Piano verde e all’industria.

Non è la sola voce critica già dall’esordio parlamentare della manovra. La tassa sulle auto aziendali è nel mirino quanto e più di quella sulla plastica, anche perché qui non si può adoperare l’argomento, tutt’altro che peregrino, dell’uso di una leva fiscale per modificare radicalmente le politiche ambientali. La mediazione sarà probabilmente applicare la tassa subito sulle auto di nuovo acquisto ma rinviare di sei mesi almeno i tempi per la riconversione delle auto già esistenti.

NON BASTERÀ A SEDARE i malumori all’interno della maggioranza e ovviamente ancor meno a frenare la campagna di Matteo Salvini contro il «governo di incapaci che sa mettere solo tasse». E’ una campagna largamente infondata ma che impensierisce il governo parecchio. Tanto che in serata Conte ha fatto uscire una nota informale in cui si annuncia l’intenzione del presidente del consiglio di «contrastare il tentativo di far passare questa come la manovra delle tasse». E ci mancherebbe che fosse il contrario. La prima mossa di Conte è stata decidere un incontro con le aziende della plastica, assicurando che le misure previste «non avranno alcun fine punitivo».

La campagna propagandistica dell’opposizione è nell’ordine delle cose. Tagliente, come sempre quando si tratta di fisco, ma in sé non deflagrante. Il vero guaio sono le lacerazioni e soprattutto l’esasperazione che crescono nella maggioranza. «Se non facciamo le cose, scoppiamo», si sfoga la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, preoccupata per «la leggerezza con cui alcuni guardano alla legge di bilancio». Solo che le tensioni sulla manovra sono un sintomo, non il focolaio. Non è solo a quelle che pensa Giuseppe Conte quando sbotta confidandosi con i ministri del Pd: «Senza di voi sarei isolato».

IN QUESTO CLIMA, la guerriglia che Matteo Renzi promette di estendere al caso Ilva non consola certo il premier. Per la maggioranza non si tratta solo di arrivare indenne al varo della legge di bilancio, missione facile, ma di usare il percorso parlamentare per riannodare legami già sfilacciati. Compito decisamente più ostico.