Camminava tranquillo per il suo quartiere, a Santiago, quando i carabineros hanno pensato bene di fermarlo. La sua colpa: portare una mascherina con un simbolo mapuche. Per fortuna gli è andata bene: grazie all’immediata reazione della gente, los pacos, come vengono chiamate in Cile le forze dell’ordine, si sono decisi a rilasciare il giovane e ad andarsene in tutta fretta tra grida e insulti.

SE IL COVID-19 ha temporaneamente sospeso le manifestazioni popolari – benché gli atti di protesta realizzati il primo maggio e durante la giornata dei carabineros del 27 aprile siano apparsi il segnale di un imminente ritorno in piazza -, la repressione, con tanto di coprifuoco dalle 22 alle 5, non è invece venuta meno.

E non è l’unico elemento di continuità. Sono proseguite le provocazioni governative, come la nomina di una pinochetista – Macarena Santelices, pronipote del dittatore – alla guida del Ministero della donna; sono rimasti inalterati i privilegi delle élite, resi ancora più evidenti dalla pandemia; risultano semmai ancora più profonde le disuguaglianze, riguardo alla salute, all’educazione e all’impiego, con un milione e passa di lavoratori condannati al licenziamento o ai tagli di stipendio.

Con 37mila contagi in rapida crescita, un picco previsto non prima della fine di maggio o dell’inizio di giugno e 368 decessi (cifra di cui, stando alle denunce, c’è fortemente da dubitare), il sistema sanitario è al bordo del collasso, soprattutto nella regione metropolitana: mancano i dispositivi di sicurezza per il personale sanitario, i tamponi sono introvabili, scarseggiano i ventilatori. E benché alla fine di marzo il ministro della Sanità Jaime Mañalich dicesse di temere che lo accusassero di averne comprati troppi, ora il sottosegretario Arturo Zúñiga afferma che, «a questo ritmo», ne serviranno di più.

COSÌ, DI FRONTE AL RECORD di nuovi casi (più di 2.600) stabilito mercoledì, e dopo aver obbligato centinaia di migliaia di lavoratori a continuare a recarsi nei luoghi di lavoro esponendoli così al contagio, il presidente Piñera ha dovuto cambiare discorso, passando dal tentativo di imporre una «nuova normalità» – nell’illusione che la curva dei contagi avesse raggiunto il plateau – all’annuncio della «quarantena totale» a Santiago. E senza pronunciare una sola parola di autocritica, bandita dall’impressionante propaganda governativa, ha piuttosto scaricato la colpa sulla popolazione, colpevole, a suo dire, di non rispettare le misure di sicurezza.

Ma se dinanzi ai ritardi, alle misure parziali, ai provvedimenti confusi e contraddittori e alla carneficina sociale in atto, l’esasperazione popolare è già alle stelle, un’altra bomba a orologeria è rappresentata dal possibile nuovo rinvio del plebiscito sulla nuova Costituzione, già slittato dal 26 aprile al 25 ottobre (con l’elezione dei costituenti rimandata addirittura al 4 aprile del 2021).

UN RINVIO CHE IL GOVERNO ha tutto l’interesse a imporre, considerando il risultato del «plebiscito simbolico» svoltosi proprio il 26 aprile attraverso la pagina web constitucionvirtual.com: con un totale di 409.804 votanti, l'”Apruebo”, il sì a una nuova Costituzione, si è imposto con l’81,38% dei voti, contro il 18,54% dei “Rechazo”. E intanto, con le piazze precluse, lo spirito costituente si alimenta attraverso assemblee virtuali e piattaforme web, come la pagina QueChileDecida.cl, che si propone di diffondere informazioni sulla campagna, creare reti di contatti e coordinare le diverse iniziative.