Piano anti-pandemia: Speranza indagato con Grillo e Lorenzin
Coinvolti anche molti dirigenti. I pm ipotizzano la falsificazione delle informazioni inviate all’Organizzazione mondiale della sanità. «Di fronte al Covid erano necessari strumenti nuovi» è la linea difensiva del ministro
Coinvolti anche molti dirigenti. I pm ipotizzano la falsificazione delle informazioni inviate all’Organizzazione mondiale della sanità. «Di fronte al Covid erano necessari strumenti nuovi» è la linea difensiva del ministro
Dall’inchiesta della procura di Bergamo sulla gestione iniziale della pandemia emerge un nuovo filone d’indagine. Tra gli indagati ci sono i principali protagonisti della sanità pubblica degli ultimi anni: tre ex-ministri (Roberto Speranza, Giulia Grillo e Beatrice Lorenzin), numerosi alti dirigenti ed ex-dirigenti del ministero della salute, più il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro.
L’APERTURA di un nuovo fascicolo non è una sorpresa. L’accusa che riguarda gli indagati è di non aver aggiornato il piano italiano anti-pandemia, un tema già approfondito dalla perizia del consulente della procura bergamasca Andrea Crisanti e oggetto di diverse inchieste di stampa. I fatti non riguardano strettamente la gestione del Covid in Valseriana ma risalgono agli anni precedenti alla pandemia. La competenza dell’indagine spetta dunque alla procura di Roma e del tribunale dei ministri di Brescia, a cui i magistrati bergamaschi avrebbero trasmesso gli atti già a novembre 2022. Secondo i pm, quanto accaduto in Lombardia tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 2020 mostra le conseguenze di anni di sottovalutazione del rischio pandemico.
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Covid, gli scienziati sorpresi dall’inchiesta di BergamoIN QUASI TUTTE le dichiarazioni rilasciate ai pubblici ministeri di Bergamo, i responsabili della gestione dell’emergenza Covid hanno concordato su un punto: l’Italia ha affrontato la pandemia «senza manuale di istruzioni» (queste le parole dell’ex-ministro Speranza). I magistrati però non hanno accolto questa versione: il «manuale» c’era, ed era il «Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale» vigente.
CHE TUTTI fossero al corrente che l’Italia avesse un piano per le emergenze è accertato dal verbale della task force ministeriale del 29 gennaio 2020 in cui l’allora direttore scientifico dell’istituto Spallanzani Giuseppe Ippolito invitava «a riferirsi alle metodologie del piano pandemico di cui è dotata l’Italia». Il problema è che dal 2006 nessuno si era preso la briga di aggiornarlo né di verificarne l’applicazione. Come ha detto pochi giorni fa in audizione alla Camera Donato Greco, che nel 2006 ne curò la redazione per conto del ministero della salute, il piano pandemico è «materia vivente»: richiede cioè aggiornamenti, azioni e formazione in permanenza e non lo si tira fuori da un cassetto quando arriva l’emergenza.
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«Per noi si riscrive la storia in questo momento»I PM DI ROMA intendono fare luce sulle responsabilità dei dirigenti del ministero che dal 2006 al 2020 avrebbero dovuto occuparsi dell’aggiornamento del piano, come previsto dal Regolamento sanitario internazionale adottato dall’Oms nel 2007 e dalla decisione del Parlamento europeo 1082 del 2013. Tra gli indagati figurano i vertici della direzione della prevenzione degli ultimi anni: Claudio D’Amario, Francesco Maraglino, Loredana Vellucci, Ranieri Guerra, Mauro Dionisio, Maria Grazia Pompa, Giuseppe Ruocco. Oltre al mancato aggiornamento, i pm ipotizzano anche la falsificazione di atti ufficiali. Come si legge nella relazione del consulente della procura Andrea Crisanti «dal 2010 al 2017 i funzionari dell’ufficio prevenzione (…) hanno contribuito a stilare e approvare le autovalutazioni trasmesse a OMS nelle quali veniva attribuito all’Italia un elevato livello di preparazione (88/100)». In realtà, il piano anti-pandemico non era cambiato di una virgola nonostante i progressi dell’epidemiologia, non erano state effettuate le attività di formazione per renderlo operativo sul territorio né erano state verificate le scorte di dispositivi di protezione e attrezzature sanitarie necessarie a far fronte a un’emergenza, come fu evidente durante il disastro della Valseriana.
LA VERSIONE di Speranza e dei dirigenti sanitari è che in ogni caso il piano non sarebbe stato utile, in quanto era necessario dotarsi «di strumenti nuovi e diversi, più specificamente adatti al nuovo virus» diverso dall’influenza. Per questo, solo alla fine di febbraio ai tecnici fu commissionato un piano alternativo agli epidemiologi della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Gli scenari drammatici sulla tenuta del sistema sanitario e sulle misure drastiche previste dalla nuova versione convinsero tuttavia il governo a tenerlo segreto. E a non tradurlo in indicazioni operative ufficiali per medici e amministratori alle prese con la pandemia.
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