Il quotidiano francese Le Monde lo ha chiamato «il veleno del secolo». Silenzioso, dannatamente diffuso (ce n’è traccia dall’Artico all’Antartide), subdolo ed eterno. Parliamo dei Pfas, sostanze perfluoroalchiliche, composti chimici altamente inquinanti soprannominati forever chemical, che non si degradano col tempo e che possono avere gravi conseguenze per la salute umana.
Costituiti da catene fluorurate di un numero variabile di atomi di carbonio, i Pfas sono presenti – in virtù delle loro proprietà idrorepellenti e oleorepellenti – fin dalla fine degli anni Quaranta del secolo scorso in tantissimi oggetti di uso domestico (dalle pentole antiaderenti alle scarpe impermeabili, dagli involucri alimentari ai cosmetici) e non (utilizzati, ad esempio, nella produzione di plastica e gomma e nell’industria elettronica).

SONO SOSTANZE ESTREMAMENTE PERSISTENTI, che si accumulano nell’ambiente e, in alcuni casi, anche nel nostro organismo. Questa persistenza riporta alla mente chi dall’eternità prese il nome, l’Eternit, che in questa storia c’entra poco solo in apparenza, perché è – in termini più generali – un precedente storico, anche in riferimento a un settore industriale che, consapevole dei danni, continuò a inquinare. E perché nel pezzo italiano di questo allarme globale c’entra nuovamente la provincia di Alessandria. A poche decine di chilometri – poco più di quaranta – da quel che fu il più importante stabilimento che produceva amianto (a Casale Monferrato), sorge l’unico sito attualmente produttivo in Italia di polimeri fluorurati, a Spinetta Marengo, popolosa frazione nel comune di Alessandria.

QUESTO TERRITORIO DI PIANURA È STATO TEATRO di una delle battaglie più celebri dell’ultimo scampolo della storia moderna, la «battaglia di Marengo», combattuta nel giugno del 1800 e vinta dall’esercito francese, guidato da Napoleone Bonaparte, ai danni degli austriaci. Dal 1905, Spinetta è sede di una grande fabbrica chimica, fondata da imprenditori locali, passata poi a Montecatini, diventata – dopo la fusione con Edison – Montedison, rinominata successivamente Ausimont e, infine, giunta nel 2002 nelle mani della multinazionale belga Solvay. Qui, in uno spazio di 130 ettari per mille persone impiegate, produce polimeri fluorati: un’attività che ha richiesto o richiede l’impiego di Pfas, a catena lunga come l’Adv 7800 e a catena corta come il C604, brevettato dalla stessa Solvay e cosiddetto di nuova generazione, nato per sostituire il vecchio e fuoriuscito Pfoa, classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro «possibilmente cancerogeno». Celandosi dietro alla tutela della proprietà intellettuale, la società non fornisce gli standard analitici del C604; una ricerca delle Università di Padova e Bologna ha comunque dimostrato come anche questo alteri i processi biologici di organismi marini sentinella quali le vongole veraci.

TRATTASI, QUINDI, DI UN ULTERIORE TASSELLO nella lunga e stratificata storia di inquinanti che sconta Spinetta, non solo Pfas. Nel 2008, la scoperta da parte dell’Arpa Piemonte di un inquinamento di cromo esavalente nelle falde acquifere innescò una vicenda giudiziaria che portò sul banco degli imputati i vertici di Ausimont e Solvay e alla condanna di Luigi Guarracino, Giorgio Carimati e Giorgio Canti per disastro ambientale colposo. Per la Suprema Corte, avrebbero dovuto «adottare i rimedi per scongiurare pericoli alle persone e all’ambiente, eventualmente interrompendo la produzione». Un’altra indagine si è recentemente conclusa e vede coinvolti Stefano Bigini e Andrea Diotto, fino a poco settimane fa direttore dello stabilimento di Spinetta: «Avrebbero omesso – secondo l’accusa – di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione del sito e al più sicuro contenimento del rilascio dei contaminanti sia nella falda sotto lo stabilimento che a valle, dove sarebbe stata accertata una diffusa e cospicua concentrazione di Pfas».

I PFAS SONO STATI INDIVIDUATI NEL SUOLO, nell’aria e nell’acqua. Gli studi epidemiologici di Arpa e Asl, seppur contestati dall’azienda, hanno evidenziato come a Spinetta ci si ammali di più. Da tempo i cittadini riuniti in comitati e le associazioni ambientaliste fanno pressioni su istituzioni e politica. «Vogliamo un biomonitoraggio completo, che coinvolga i residenti, e che i medici di base siano formati sulle conseguenze alla salute dei Pfas, costruendo così un canale ad hoc di medicina preventiva. Su questo abbiamo sollecitato diverse volte il sindaco di Alessandria, ma ci ha detto che la responsabilità di far ciò non è direttamente del Comune. Noi, però, non tolleriamo più il ricatto lavoro-salute, che per troppi anni ha avvelenato Spinetta. Va avanti da almeno tre anni un rimpallo di responsabilità tra Comune e Regione, che si scaricano il barile della salute pubblica e della prevenzione l’uno sull’altro. Noi non ci stiamo. L’unica soluzione sono il blocco totale della produzione di Pfas, che può avvenire solo con la chiusura dello stabilimento, e la successiva e fondamentale bonifica del sito». Lo sottolinea Viola Cereda, giovane biologa e portavoce del Comitato Stop Solvay, che alcuni anni fa raccontò in una lettera pubblica le radici del suo impegno, quando decise di non restare più passiva dopo aver letto del rilevamento del C6O4 nel fiume Bormida e dei risultati degli studi epidemiologici, compreso il maggior rischio di infertilità per le donne residenti. Un’indagine – promossa dal comitato con i reporter della tv pubblica belga Rtbf, impegnati in un’inchiesta giornalistica, e l’Università di Liegi – ha rilevato nell’agosto 2022 una presenza significata di queste sostanze nel sangue dei cittadini di Spinetta.

A LIVELLO MEDICO, I PFAS SONO RICONOSCIUTI come interferenti endocrini, in grado quindi di alterare i processi dell’organismo che coinvolgono lo sviluppo, il comportamento e la fertilità. Ed è stata rilevata una correlazione tra una loro alta concentrazione e varie neoplasie (dal cancro al seno a quello ai testicoli) e malattie cardiovascolari. Per subirne gli effetti più gravi, sarebbe necessaria un’esposizione continua a concentrazioni elevate. Ecco perché le persone più esposte all’inquinamento dei Pfas sono quelle che vivono vicino alle fabbriche, lo ha evidenziato Gretta Goldenman, scienziata di lungo corso che coordina il Global Pfas Science Panel e per il Consiglio nordico curò un rapporto sul tema, con la difficoltà di individuare i siti di produzione dei Pfas. Un vuoto che è riuscito a colmare il progetto «The Forever Pollution Project» che ha coinvolto diciotto media tra cui Le Monde, il Guardian e la rivista italiana online Radar e ha mappato 17mila siti contaminati in Europa. Uno degli hotspot è Trissino, in Veneto, dove una lunga e grave contaminazione delle falde acquifere causata dall’azienda Miteni, che produceva composti fluorurati, è stata scoperta circa dieci anni fa. Lo rivelò uno studio di Irsa-Cnr che svelò livelli altissimi di Pfas nell’acqua potabile. Un’emergenza senza precedenti che coinvolge un territorio di 350mila abitanti.

CHE FARE, ALLORA? DIVERSE ASSOCIAZIONI a livello europeo chiedono la messa al bando dei Pfas, vi aderiscono tra gli altri Greenpeace, Legambiente, Mamme No Pfas e Medicina Democratica. La Rete Ambientalista, che ha un portale sempre aggiornato sull’argomento e sul caso Solvay, ha lanciato una campagna nazionale per la loro messa al bando, con divieto di produzione, uso e commercializzazione di Pfas o di prodotti contenenti Pfas, più misure di controllo e una riconversione produttiva dei siti.

NEGLI USA, DOVE IL DISCORSO PUBBLICO È AVANZATO perché furono antesignani dello scandalo – il primo caso di contaminazione di acqua potabile è stato segnalato nel 1999 a opera della DuPont – l’Agenzia per la protezione ambientale Epa ha stabilito limiti stringenti per la presenza di Pfas nell’acqua potabile. La California e lo Stato di New York hanno vietato i Pfas nell’abbigliamento. In Europa, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia hanno presentato all’Echa, l’Agenzia europea delle sostanze chimiche, una proposta di restrizione totale dei Pfas per tutta l’Ue. In Italia, invece, il Ministero delle Imprese finanzia la Solvay per lo sviluppo della tecnologia Aquivion (filiera dell’idrogeno green) che userà Pfas fino 2026. Fuori tempo massimo.