Nella partita a scacchi di Caracas tra Guaidó e Maduro, le più grandi riserve di petrolio del mondo (stimate e certificate in 300 miliardi di dollari) che si addensano nelle viscere del Venezuela, sono notoriamente la posta in gioco principale. Ed è un segreto di Pulcinella che gli Usa e alcuni paesi europei non vedano l’ora di mettere le mani su quell’oro nero, oggi di proprietà statale.

Ma anche la Russia non è stata a guardare e da tempo ha stretto degli accordi con il Venezuela per entrare nelle cordate azionarie delle sue società petrolifere. Non è quindi giunta del tutto a sorpresa la notizia che il presidente bolivariano abbia ordinato la scorsa settimana il trasferimento dell’ufficio della compagnia petrolifera di Stato Pdvsa da Lisbona a Mosca. Il dirottamento degli uffici a Mosca potrebbero anche preludere allo spostamento del baricentro delle stesse proprietà dei giacimenti venezuelani in mano russa.

Per Kommersant, Rosneft controllerebbe già il 20% dei titoli azionari dei giacimenti del paese e gli ingenti debiti contratti sin dai tempi di Chavez (17 miliardi di dollari) con il colosso petrolifero russo, potrebbero essere ripianati ora con la cessione di altre quote azionarie.

In una intervista concessa a Rossiskaya Gazeta l’ambasciatore russo a Caracas Vladimir Zaemsky ha voluto mandare un chiaro segnale a Trump in relazione agli interessi del suo paese: «Per quanto riguarda gli investimenti russi in Venezuela, ci sono certamente dei rischi. Se verranno fatti tentativi per privare le società russe degli investimenti nell’economia del paese, risponderemo a questo nel modo più duro» ha detto il diplomatico di Mosca lasciando intendere che neppure l’opzione militare potrebbe essere esclusa.

A fine gennaio Washington ha imposto sanzioni contro la Pdvsa, vietando il trasferimento ai suoi conti di fondi dagli Usa, dove viene venduta la maggior parte del petrolio esportato dalla società e bloccando le proprietà della Pdvsa negli Stati uniti, dove la società possiede tre grandi raffinerie. Secondo Reuters la conseguenza è stato il crollo dell’esportazione di greggio del paese americano da 1,66 milioni di barili al giorno di dicembre, ai 920 mila di febbraio.

Un campanello d’allarme che ha spinto Maduro ad altre mosse per proteggere quel poco che rimane dell’economia del paese. Sempre la scorsa settimana il presidente venezuelano ha convocato a Palacio de Miraflores i più importanti imprenditori del paese invitandoli ad aprire conti in valuta in Russia, Cina e India.

Il vicepresidente del Venezuela, Delsay Rodriguez, ha infine annunciato alla Tv Rossia-24 il trasferimento a Mosca di un altro pezzo da novanta dell’economia del paese, la Cvg, (Corporacion Venezolana de Guayana) una conglomerata di 14 aziende per la produzione di alluminio e acciaio e società per l’estrazione di oro, ferro, bauxite, diamanti e la lavorazione del legno.