Mi piacerebbe capire perché a Torino un tassista, all’improvviso e senza che dicessi nulla, mi ha interrogato sul referendum di domenica. Vorrei capire perché lunedì sera, a Roma, in una pizzeria siamo finiti tutti a parlare del si e del no».

«Vorrei capire perché un referendum costituzionale sia entrato nelle nostre giornate, invadendole, fino a diventare l’argomento in agguato in ogni discorso», si è chiesto Paolo Di Paolo su Repubblica dell’altro giorno.

Per quel poco che vale, anch’io vorrei capire perché due giorni fa portando la macchina in officina mi sono sentito chiedere a bruciapelo che cosa avrei votato al referendum. Ebbene, una risposta ce l’avrei, è la televisione, bellezza. La tv in questa campagna referendaria l’ha fatta da padrona più che in altre circostanze. Video pieno e piazze (semi)vuote; ancora nel 2013 alla telepolitica s’erano affiancate le piazze di Grillo e prima ancora i pulmann di Prodi e di Veltroni. E nel video, lo confermano anche gli ultimi numeri dell’Agcom, c’è stato moltissimo il premier, con percentuali soffocanti; egli si è rivolto direttamente ai cittadini con toni che li chiamavano a celebrare un’ordalia, un giudizio di dio. Sempre dal video sono partite, o sono state amplificate, invettive, chiamate di correo, scomuniche, anatemi.

Nel piccolo schermo si è confuso il diritto con la politica, la testa con la pancia, il confronto con la rissa. E vi pare che da questa mobilitazione drammatizzante e totale, giocata nei palinsesti nelle ultime settimane soprattutto da un leader che comunque nei mesi precedenti, sempre in tv e nei tiggì, aveva goduto di una promozione impropria, sfruttata con accidiosa arroganza, non abbia alla fine favorito questa ‘intossicazione’ collettiva? Assecondata perdipiù da un mezzo che è riuscito nell’impresa di politicizzare al massimo i suoi palinsesti e i suoi notiziari, già i più ‘politicizzati’ tra i paesi dell’occidente europeo, senza riuscire a rispettare (tranne che per qualche frangente) pluralismo e par condicio? Forse che qualcuno pensa che lo stillicidio quotidiano di notizie sul Sì e sul No, le comparsate del presidente del consiglio nei formati anche più innocentemente familiari d’intrattenimento, il talk infinito che dalla mattina esonda dallo schermo nelle vite degli italiani, possano essere rimasti senza conseguenze? O che un sistema informativo fatto da una stampa nana, da un gigante televisivo (pubblico-privato) viziato all’origine da rapporti malati con la politica (vedi la rivelatrice lettera di dimissioni di Francesco Merlo), da una politica debole che però ne egemonizza l’agenda (c’è uno studio dell’Osservatorio di Pavia sulla devastante preminenza italiana della politica nei tiggì, rispetto ad altre istanze sociali e culturali), e da una Rete, infine, che questi difetti moltiplica con patologica virulenza, non si trasformi giorno per giorno in un plus di tossine che avvelenano una comunità, di suo già divisa?

«C’è chi legge in positivo questo improvviso ritorno alla militanza, ad una partecipazione accorata che rompe il lungo disincanto. Ma lo rompe davvero?» si chiede ancora, giustamente perplesso, Di Paolo.

Il fenomeno di queste settimane non rompe il disincanto anche perché questa partecipazione è il frutto guasto di una conflittualità drogata e di riporto, che dal mezzo tv si è estesa al midollo del paese. Occorrerà che, passata la tempesta referendaria, da domani chi ha a cuore le sorti del dibattito civile e della democrazia italiana si ponga di nuovo il tema della ‘questione televisiva’, pubblica e privata.

La sinistra sciagurata di Prodi, D’Alema, Bertinotti, Veltroni, ed oggi Renzi, non ha mai voluto affrontare il problema: oggi ne subiamo, con gli interessi, gli effetti perversi. Perché, come tutte le ricerche ci dicono, nostra signora televisione rimane ancora ben al centro di tutte le fonti informative.

Stasera vedremo se il tour televisivo di Renzi, degno del miglior Berlusconi, attuato nel silenzio assordante di quella stampa ( per capirci, quella su cui scrive Paolo Di Paolo) che una volta mostrava ben altra attenzione al problema, avrà fruttato il successo sperato, come noi, ahimè, purtroppo temiamo; oppure lo avrà allontanato, per eccesso di esposizione, dai favori della gente. Nell’un caso e nell’altro la tv avrà vinto ancora una volta.