La guerra per il controllo dell’Ucraina è iniziata: con una possente psyop, operazione di guerra psicologica, in cui vengono usate le sperimentate armi di distrazione di massa. Le immagini con cui la televisione bombarda le nostre menti ci mostrano militari russi che occupano la Crimea.

Nessun dubbio, quindi, su chi sia l’aggressore. Ci vengono però nascoste altre immagini, come quella del segretario del partito comunista ucraino di Leopoli, Rotislav Vasilko, torturato da neonazisti che brandivano una croce di legno. Gli stessi che assaltano le sinagoghe al grido di «Heil Hitler», risuscitando il pogrom del 1941. Gli stessi finanziati e addestrati per anni, attraverso servizi segreti e loro «Ong», dagli Usa e dalla Nato. Lo stesso è stato fatto in Libia e si sta facendo in Siria, utilizzando gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi. Dieci anni fa documentavamo sul manifesto (v. In Ucraina il dollaro va alle elezioni, 2004) come Washington avesse finanziato e organizzato, attraverso «Ong» specializzate, la «rivoluzione arancione» e l’ascesa alla presidenza di Viktor Yushchenko, che voleva portare l’Ucraina nella Nato. Sei anni fa, descrivendo l’esercitazione militare «Sea Breeze» tenuta dall’Alleanza atlantica in Ucraina all’insegna della «Partnership per la pace», scrivevamo che «la “brezza di mare” che spira sul Mar Nero preannuncia venti di guerra» (v. Giochi di guerra nel Mar Nero, 2008).

Per capire cosa stia succedendo in Ucraina non basta il fermo immagine di oggi, ci vuole tutto il film. La sequenza dell’espansione ad Est della Nato, che in dieci anni (1999-2009) ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia prima alleati dell’Urss, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia; che ha spostato le sue basi e forze militari, comprese quelle a capacità nucleare, sempre più a ridosso della Russia, armandole di uno «scudo» anti-missili (strumento non di difesa ma di offesa). Ciò, nonostante i ripetuti avvertimenti di Mosca, ignorati o derisi come «sorpassati stereotipi della guerra fredda».

La vera posta in gioco, in questa escalation, non è l’adesione dell’Ucraina alla Ue, ma l’annessione dell’Ucraina alla Nato. Quella Usa/Nato è una vera e propria strategia della tensione che, al di là dell’Europa, mira a ridimensionare la potenza che ha conservato la maggior parte del territorio e delle risorse dell’Urss, che si è ripresa dalla crisi economica del dopo guerra fredda, che ha rilanciato la sua politica estera (v. il ruolo svolto in Siria), che si è riavvicinata alla Cina creando una potenziale alleanza in grado di contrapporsi alla superpotenza statunitense.

Attraverso tale strategia si spinge la Russia (come venne fatto con l’Urss) a una sempre più costosa corsa agli armamenti, con l’obiettivo di fiaccarla accrescendone le difficoltà economiche interne che gravano sulla maggioranza della popolazione, stringendola alle corde perché reagisca militarmente e possa essere messa al bando dalle «grandi democrazie» (da qui la minaccia di escluderla dal G8).

La rappresentante Usa alle Nazioni unite Samantha Power, paladina della «responsabilità di proteggere» spettante agli Stati uniti per diritto divino, ha chiesto l’invio di osservatori Osce in Ucraina. Gli stessi che, guidati da William Walker, l’ex uomo dell’intelligence Usa in Salvador, nel 1998/99 fecero da copertura alla Cia in Kosovo, fornendo all’Uck istruzioni e telefoni satellitari per la guerra che la Nato stava per lanciare.

Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1100 aerei effettuarono 38mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. La guerra terminò con gli accordi di Kumanovo, che prevedevano un Kosovo largamente autonomo, presidiato dalla Nato, ma sempre all’interno della sovranità di Belgrado. Accordi stracciati nel 2008 con l’autoproclamata indipendenza del Kosovo, riconosciuta dalla Nato e che spacca l’Unione europea stessa (Spagna, Grecia, Slovacchia, Romania e Cipro non la riconoscono). La stessa Nato che, per bocca di Rasmussen oggi accusa la Russia di violare in Ucraina il diritto internazionale.