Capitò a Churchill di illustrare la topografia della Camera dei comuni a un suo collega conservatore, neoeletto. Gli spiegò che di fronte a loro sedevano «i nostri avversari», laburisti e liberali; «invece qui, accanto a noi, i nemici, nostri compagni di partito». Malgrado ciò Churchill è riuscito, sia pure in extremis, a rendere un servizio all’umanità, quello di evitare che finisse sotto il tallone di Hitler.

Pur condividendo le giuste preoccupazioni espresse da Norma Rangeri riguardo all’endemica litigiosità intestina della sinistra (cfr. il manifesto, 20 giugno), è ancora possibile evitare una nuova guerra civile tra Campo Progressista, guidata da Giuliano Pisapia, e la nuova, meritoria iniziativa di Anna Falcone e Tomaso Montanari, con relativi frammenti organizzati, in sostituzione di quella che andrebbe condotta contro una destra rafforzata da un renzismo in costante declino.

Il modo migliore per uscire dalla sindrome del «più vicino-nemico» è quello di battersi per obiettivi comuni, di urgenza tale da non poter essere rinviati.

Ve ne sono almeno due, molto importanti, a portata di mano. Se fossero conseguiti sarebbe prolungato l’«effetto 4 dicembre» e diventerebbe possibile un dialogo costruttivo in vista delle elezioni.

La prima partita si gioca domani a Genova, in occasione del ballottaggio per l’elezione del sindaco. È una partita dall’esito incerto. Anche se il candidato di centro-destra, Marco Bucci, sopravanza di quattro punti e mezzo Gianni Crivello, candidato indipendente per lo schieramento di centro-sinistra, tutto dipenderà dalla metà e oltre dell’elettorato che non è andata a votare nella prima tornata, oltre che da quello grillino che, escluso dal ballottaggio, aveva pur portato a casa quasi il 20% dei voti.

Questa volta il risultato di Genova avrà un forte impatto nazionale perché, oltre ad essere la più grande città al voto, qui si verifica la capacità di stare assieme contro un avversario che questo sì merita di essere definito nemico.

Perché, cari compagni e amici miei di lunga e meno lunga data – in ordine di tempo, Prodi, La Valle, Zagrebelsky, Russo Spena, Castellina, Bindi, Vendola, D’Alema, Bersani, Smuraglia, Cofferati, Ferrero, Fassina, Montanari-Falcone, Pisapia, Sansa e altri ancora – se vi è un caso in cui non soltanto quelli di noi che lo stanno già facendo ma chiunque si senta democratico, dovrebbe attaccarsi al telefono contattando chiunque conosciamo a Genova, è proprio questo.

Persino i Cinque Stelle dovrebbero distrarsi per un attimo dalle loro sciagurate iniziative contro lo jus soli, interpellare la propria coscienza e chiedersi a chi vogliono consegnare le chiavi di Genova democratica ed antifascista.

La città che ha portato l’esercito tedesco ad arrendersi al Cln della Liguria, che ha segnato la caduta del governo Tambroni e che ha denunciato gli obbrobri del governo Berlusconi-Fini in occasione del G8, non dovrebbe respingere il tentativo di diventarne sindaco di un candidato imposto da fascistoidi quali Salvini e Melloni, pieno di conflitti d’interesse e con nessuna esperienza e competenza di amministrazione pubblica?

Dovrebbe farlo in presenza non di un male minore, ma di un Gianni Crivello, indipendente di tradizione berlingueriana, nulla a che fare con i giri burlandiani, che persino i più insospettabili grillini in privato riconoscono come galantuomo al servizio del bene comune, assessore alla protezione civile, presente e accessibile alle istanze di un popolo dolente nelle situazioni più drammatiche degli ultimi anni e sensibile a ogni forma di onesto sviluppo che crei lavoro (a me fa venire in mente la nuova modernità di Corbyn).

La seconda partita, quella della legge elettorale, è di più lunga durata, visto che il tentativo Renzi-Grillo-Salvini di andare subito al voto sembra fallito. Dopo la manfrina sul modello tedesco, costoro mirano a elezioni con quel piccolo mostro uscito dalle sentenze della Corte Costituzionale che i grillini virtuosamente chiamano «Legalicum».

Ora, le opinioni su questo importante argomento sono le più svariate, anche all’interno della sinistra.

C’è un solo modo per uscire da questo stallo, riattivare le energie del 4 dicembre, unire tutte le sinistre e non soltanto esse: una campagna che tutti capirebbero contro qualsiasi norma tale da consentire la nomina dei parlamentari – non importa se tramite listini e capilista bloccati, o premi di maggioranza – che priva i cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti e discredita il parlamento che ne scaturisce.

Strada facendo verificheremo se esistono le condizioni per un referendum abrogativo. Quando cominciamo? Dall’assemblea dei comitati del no di oggi?