Si può ragionare sulla guerra e si può aprire una riflessione aperta sul movimento per la pace senza la preclusione di uno slogan (pro o contro)? Si può tentare di decifrare un conflitto complesso, ridotto alla contrapposizione tra invasori e invasi, buoni e cattivi, armati e disarmati? A tentare di rispondere in profondità è stato ieri, forse per la prima volta, un incontro nazionale che ha provato a scandagliare il tema della guerra ucraina, ma senza declinarlo da un solo punto di vista, benché le organizzazioni promotrici, soprattutto Opal e Rete Io accolgo di Brescia, siano chiaramente dalla parte del movimento per la pace.

SCELTA NON SCONTATA e che ha visto anche aperte provocazioni sulla scelta etica che riguarda l’invio di armi, sull’autonomia dell’Europa, sulla ricerca che indaga la strada del fantomatico esercito europeo.

Ospitato dal Comune di Brescia e moderato da Camilla Bianchi del Coordinamento Enti Locali per la Pace, il convegno «Guerra in Ucraina: dentro il conflitto, oltre il conflitto. Per un’Europa di Pace» ha aperto i suoi lavori con le analisi di Mirko Mussetti di Limes (le “ragioni” della Russia), di Fabrizio Coticchia (Univ. Di Genova) e di Matteo Villa (Ispi) che non ha esitato a provocare la platea sul che fare quando un popolo – di cui si riconosce e si sostiene il diritto a difendersi – chiede poi l’atto concreto del sostegno militare. Gli ha risposto in un certo senso Martina Pignatti (Un Ponte per) ricordando che ci sono altri tipi di azione oltre all’apparente asettico invio di bombe e fucili. Quel che Un Ponte cerca di fare ora in Ucraina è costruire relazioni e dare spazio e sostegno a chi nel Paese opera per decostruire lo scontro ucraini-russofoni o per squarciare il velo sul fenomeno del rifiuto alla guerra: diserzione, per il governo, punibile immediatamente col carcere.

Anche lo spazio umanitario è un capitolo del convegno: Duccio Facchini (Altreconomia) ricorda l’incoerenza di un’Europa disposta ad accogliere 8 milioni di ucraini ma che aveva fatto un caso della cosiddetta crisi dei migranti di alcuni anni fa (quando erano meno di 2 milioni).
E l’Onu? Non pervenuta. Per ora la sua attività è la richiesta di 4,3 miliardi per un’assistenza umanitaria finanziata solo al 60%. O armi o assistenza.

SULLA FUNZIONE DELL’AZIONE pacifista, Mao Valpiana ricorda che se ha un percorso in salita è anche perché il movimento per la pace ha solo un secolo di vita contro la guerra, fenomeno che ha alle spalle migliaia di anni di esperienza e sperimentazione. «Eppure – dice l’esponente del Movimento Nonviolento – è l’unica voce che mette davvero in crisi la preparazione della guerra. Ecco perché è bene isolarlo, ridicolizzarlo, evitare di presentare un pacifista come candidato alle elezioni». Un tema, quello della prevenzione, ricorrente in diversi interventi. L’ultimo dei quali è di Sara Gorelli (Anvcg) sulla Campagna internazionale contro le armi esplosive nelle aree popolate (dati impressionanti).

POI, DI COLPO, LA GUERRA entra in scena attraverso uno streaming dal terreno. È Gianpiero Cofano, il coordinatore della terza carovana di pace di «StoptheWarNow» che si è recata a Mykolaiv, città sulla linea di un fronte particolarmente caldo. Cofano ha appena passato la frontiera con l’Ungheria e racconta che «questa volta sono stati loro a invitarci, a chiedere di essere lì per condividere fisicamente cosa è la guerra. Una cosa importante – dice Cofano – e che ci dice che il nostro impegno per la pace comincia oggi, quando torniamo in Italia proprio perché adesso una delle grandi paure in Ucraina è che questa guerra venga dimenticata», in quella situazione di “stallo” che Matteo Villa aveva prefigurato in mattinata come uno dei possibili scenari di un conflitto iniziato alla fine dell’inverno ma che adesso se lo cercherà come alleato per indebolire la resistenza ucraina.

«Il problema del movimento pacifista – dice in conclusione della giornata Francesco Vignarca di Rete Pace e Disarmo – è quello troppo spesso di fermarsi alle pratiche. Le campagne vanno benissimo… ma bisogna anche fermarsi a pensare, a riflettere collettivamente. La guerra è complessa, la pace lo è ancora di più e quindi ci vuole un progetto politico e quindi stimoli, ragionamenti, prospettive diverse perché non possono bastare le banalizzazioni, da questa o quell’altra parte. Se il movimento per la pace può essere credibile deve essere serio, approfondire e soprattutto aprirsi al più largo campo europeo come il sottotitolo del Convegno suggerisce».