«A proposito delle intercettazioni, io penso che ci sia bisogno di innalzare significativamente il livello delle garanzie. Ma penso anche che occorra farlo senza andare a detrimento delle indagini». Una manovra, ha detto ieri il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo ai senatori della commissione giustizia, che sembra proprio quella dell’evangelico cammello che deve passare per la cruna dell’ago. Ma che invece potrebbe rivelarsi «molto più facile» se si riuscisse ad affrontare il problema «senza rappresentazioni grottesche» e sulla base di «analisi realistiche e rigorose».

Ai senatori che da qualche settimana portano avanti un’indagine sul funzionamento del sistema delle intercettazioni nel nostro paese – anche per dare una base concreta ai ripetuti e contraddittori annunci del ministro Nordio – Melillo ha offerto il suo contributo, innanzitutto testimoniando il buon funzionamento dell’ultima riforma già fatta, cosiddetta Orlando, che ha sì cinque anni di vita ma solo due di concreta applicazione (i governi Conte uno e due l’hanno più volte rinviata e infine anche modificata). Testimonianza, ma si potrebbe dire rivendicazione, visto che all’epoca l’attuale procuratore nazionale (ed ex procuratore di Napoli) era capo di gabinetto del ministro della giustizia Orlando. In ogni caso Melillo non ha escluso affatto che qualche miglioramento debba essere ricercato, nella direzione dell’innalzamento delle garanzie degli indagati/intercettati. Ma ha sostenuto con nettezza che «ridurre la possibilità dell’uso del trojan nei reati contro la pubblica amministrazione minerebbe anche le indagini contro la criminalità organizzata».

Secondo Melillo va promosso, nel complesso, il funzionamento dell’archivio segreto, introdotto dalla riforma Orlando, cioè quel sistema per cui le intercettazioni non rilevanti vengono definitivamente stralciate, eventualmente in contraddittorio, ma sono conoscibili dalla difesa. Però il problema, ha detto il procuratore nazionale, è che alcune funzioni del trojan non ricadono nel regime, più rigoroso, delle intercettazioni. Per esempio la raccolta dei dati «live on search». Così come non rientra in questo regime – sembra assurdo – l’acquisizione dell’intero telefono, che oggi viene comunemente disposta direttamente dal pm, senza la garanzia dell’intervento di un giudice, per un qualsiasi reato, anche una contravvenzione. «E questo accade – ha detto Melillo, auspicando una correzione – perché la definizione di intercettazione che risale al 1988 è saltata», superata dalla tecnologia. Un altro problema per il procuratore è il fatto, già denunciato da precedenti audizioni in commissione, che non c’è la possibilità di verificare gli accessi – i log – nell’archivio segreto delle società private che effettuano le intercettazioni per conto delle procure. Infine, ha detto, «se pure esiste la possibilità teorica che il trojan manipoli i dati, questo non vuol dire che avvenga comunemente e impunemente».

Ieri è stato ascoltato anche il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che si è trovato a dover difendere l’indagine sulla prima vittima famosa del trojan, l’ex magistrato Luca Palamara (questo perché Forza Italia aveva precedentemente chiamato in audizione i consulenti della difesa). Anche se, ha ammesso, all’epoca «non era prevista alcuna regolamentazione per il trojan che per fortuna adesso c’è». Parlando sempre del trojan, Cantone ha tenuto a ricordare che proprio la sua procura ha emesso l’ordinanza cautelare a carico di Alfredo Cospito, che era già in carcere, un atto valutato come decisivo per applicare l’anarchico al 41 bis.