In Iran i milionari sono 250mila, per lo più residenti a Teheran. La Repubblica islamica sale così al 14esimo posto tra le nazioni più ricche al mondo ed è prima nella classifica in Medio Oriente, dove la rivale Arabia saudita mangia la polvere arrivando 17esima con i suoi 210mila milionari.

A DARE LA NOTIZIA è un report della società di consulenza Capgemini pubblicato il 29 giugno e ripreso dalla rivista Usa Forbes. Nel 2020 il numero di individui ad alto patrimonio netto (Hnwi) in Iran è cresciuto del 21,6%, percentuale ben maggiore rispetto alla media globale del 6,3%. Sono coloro il cui patrimonio globale netto, immobile di residenza escluso, eccede il milione di dollari.

In Iran, la ricchezza collettiva di questi milionari è cresciuta ancora più velocemente, al tasso del 24,3%. «Tra i mesi di marzo e luglio del 2020 i valori di scambio della Borsa di Teheran sono aumentati del 625% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente», si legge nel report di Capgemini.

Volendo tracciare un confronto, in quegli stessi mesi l’indice azionario statunitense S&P 500 ha guadagnano poco più del 16%. Non potendo investire all’estero a causa delle sanzioni, i ricchi iraniani hanno dunque investito in obbligazioni e azioni nel Teheran Stock Exchange. Il mercato al rialzo li ha resi milionari. Ad aver agevolato un maggiore accumulo di ricchezza è stato il governo Rohani, che ha iniettato in borsa denaro pubblico attraverso i fondi sovrani.

LA MAGGIOR PARTE dei milionari sono i cosiddetti aghazadeh, un termine in uso dagli anni Novanta. Sono i figli dei signori, le autorità al potere nella Repubblica islamica. Sono ragazzi spesso buoni a nulla ma che, in virtù del potere dei padri, hanno prerogative negate ad altri e riescono a dare avvio ad attività (precluse ad altri) e a trarre profitti ingenti.

Per esempio, in Iran un cittadino qualunque non riuscirebbe a ottenere i permessi necessari per importare l’ultimo modello di Ferrari. I figli di papà, invece, possono farlo: importano auto di lusso per rivenderle al doppio, oppure persino a otto volte il loro valore di mercato. Tra gli aghazadeh si annovera Atefeh Eshraghi, pronipote del fondatore della patria, l’Ayatollah Khomeini, che è stata fotografata a Londra con una borsetta da 3.800 dollari.

Le immagini delle loro vite stravaganti si trovano su Instagram con l’hashtag #richkidsoftehran. In un Paese dove la povertà affligge circa la metà della popolazione, le autorità sono state però costrette ad arrestare alcuni di questi giovani, o a licenziarli con l’accusa di nepotismo, come nel caso di un parente del presidente in carica.

Non deve stupire che il numero di milionari sia esploso nell’ultimo anno, nonostante le sanzioni internazionali che hanno messo in ginocchio la stragrande maggioranza della popolazione e nonostante la crisi dovuta alla pandemia. Pare che siano proprio le sanzioni ad aver permesso agli aghazadeh di arricchirsi: con l’embargo aumenta il prezzo dei beni di consumo e cresce l’inflazione, attualmente al 50%.

In queste circostanze, sale il valore dei terreni e delle proprietà immobiliari. Talvolta raddoppia, talaltra diventa dieci volte di più. Le sanzioni bloccano il libero mercato e, al tempo stesso, agevolano coloro che sono in grado di trarre profitto grazie alle sanzioni.

SONO I COSIDDETTI kaseban-e tahrim: riescono, per esempio, a spostare denaro all’estero laddove è ufficialmente vietato. Oppure importano dalla Cina: quei prodotti che, quando non era in vigore il sistema sanzionatorio, arrivavano dall’Italia (deodoranti, trucchi, capi di abbigliamento) perché di questi tempi la maggior parte della merce arriva da Pechino.

La chiusura dell’Iran permette a qualcuno di fare maggiori affari. Per questo motivo, a essere contrari alla fine delle sanzioni sono anche i bazarì, i mercanti del bazar.