Un miliardo di dollari, questo il costo per finanziare 99 chilometri di muro tra Stati uniti e Messico, la barriera «per fermare l’arrivo degli immigrati» di cui il presidente Trump parla sin dall’inizio della sua campagna elettorale, nel 2015.

Secondo la Cnn, che ha reso pubblica la notizia e che cita documenti del Dipartimento per la sicurezza interna, l’amministrazione Trump ha chiesto tale cifra non al Messico, ma al Congresso degli Stati uniti.

La richiesta è contenuta in un supplemento al bilancio del 2017 e riguarda sia la ristrutturazione di 22 chilometri già esistenti che la costruzione di 77,2 chilometri completamente nuovi.

La costruzione del muro non si ferma qui, è già pronta un’altra richiesta per il 2018, che ammonta a 2,8 miliardi di dollari per costruire ulteriori infrastrutture al confine.

Stando al 2017, il progetto parla di costruire barriere per 28 miglia di confine, inclusi alcuni tratti bagnati dal mare e dal Rio Grande, oltre a riparare o rafforzare altri tratti di confine murato o protetto dal filo spinato.

Ma il miliardo di dollari richiesto sembra a molti una cifra spropositata per una modesta fortificazione della barriera già esistente tra San Diego, in California, e Tijuana, in Messico.

Questa, comunque, è solo una piccola porzione del progetto di Trump che ha più volte parlato, letteralmente, di una Grande Muraglia che si deve estendere da oceano a oceano, le cui modalità di costruzione contemplano più ipotesi: da quella più classica in mattoni e cemento a quella leggera di una barriera-recinto per non bloccare la visibilità sull’altro lato e così agevolare la sorveglianza.

Qualunque sia la tecnica adottata, comunque, la grande muraglia di Trump è un’opera che i messicani non hanno alcuna intenzione di pagare. Allo stato attuale dell’opera il conto di questa prima piccola e costosissima porzione di muro non viene presentato a Pena Nieto ma al popolo americano e il muro, che serve anche per creare nuovi posti di lavoro, vede in corsa più di 600 aziende che hanno formalmente dichiarato il proprio interesse a costruirlo.

Secondo il conteggio del Los Angeles Times, il 10 per cento di queste sono ispaniche. Il panorama delle aziende in corsa è vario, si va da grandi società di ingegneria a studi di architettura, a piccoli costruttori.

Nemmeno tra gli aspiranti costruttori, però, il muro tra Stati uniti e Messico è popolare: «Penso che il muro sia una perdita di tempo e di denaro – ha dichiarato al The Guardian, Patrick Baltazar, proprietario di una delle aziende interessate – Da un punto di vista ambientale è una stupidaggine, lo stesso da un punto di vista economico, ma io difendo il diritto ad essere stupidi. Se vuoi tirare su un muro ti farò il miglior muro possibile pagando chi lavora per me».

Non solo i costruttori, anche i repubblicani del Congresso potrebbero portare un po’ di cattive notizie al presidente Trump, fresco dell’imbarazzante fallimento nella demolizione dell’Obamacare: nessun denaro potrebbe essere stanziato per la costruzione della barriera con il Messico, in quanto i leader democratici hanno promesso di bloccare qualsiasi legislazione che includa un solo centesimo per il progetto.

Con il partito repubblicano consumato da divisioni interne, la Casa bianca è obbligata a fare affidamento sui voti dei deputati democratici per evitare uno shut down, un arresto del governo, il mese prossimo, che se avvenisse sarebbe un altro disastro per la giovane presidenza Trump.

Al momento il governatore democratico della California, Jerry Brown, ha dichiarato all’emittente televisiva Nbc che il suo Stato è pronto a «lottare molto duramente» contro la creazione del muro: «Numero uno non mi piace – ha detto Brown – E poi è illegale e qui non abbiamo alcuna intenzione di lasciarlo fare».