Non è stato un gran bel dibattito se sono state soprattutto le battute da bar a farne parlare in televisione e sui social. Joe Biden ha battuto tutti con il suo a bunch of malarkey, «un sacco di sciocchezze», rivolto ai rivali più di sinistra, Kamala Harris e Bill deBlasio, che invocano un sistema sanitario universale. Se c’era bisogno di ricordare al pubblico che lui ha ormai vissuto un bel po’ di stagioni, la sua battuta da vecchio irlandese è perfetta.

La senatrice Kirsten Gillibrand ha promesso che la prima cosa, se eletta presidente, sarà far ripulire con la varechina lo studio ovale. Dove si trova in quel momento Donald Trump che guarda in tv il confronto tra i dieci aspiranti aspiranti alla sua poltrona il prossimo anno, e twitta con il solito intento provocatorio, cercando d’insinuarsi nelle loro contraddizioni. L’eredità d’Obama aleggia sul dibattito, i fautori di un sistema sanitario universale criticano la sua riforma, Biden la difende rivendicando di esserne stato il vice, per poi dire – quando si passa a parlare di emigrazione – che era il presidente, non lui, a decidere sulla politica migratoria. Ed ecco Donald Trump che lancia uno dei suoi tweet velenosi e falsi, non diretti ai partecipanti al dibattito ma al suo predecessore. L’accusa è di averle divise, Obama, non lui, le famiglie degli immigrati illegali al confine col Messico.

Il dibattito si svolge a Detroit, nel Fox Theatre tutt’ori e stucchi barocchi, testimonianza dell’eldorado della capitale dell’automobile. Sulla sua crisi, emblema della crisi più grande e generale della vecchia grande industria, Trump costruì parte della sua vittoria nel 2016. Vinse di poco nel Michigan, lo stato di Detroit, ottenendo meno voti di quelli conseguiti da Bush nel 2004, ma abbastanza per abbattere il cosiddetto blue wall democratico e mettere ko Hillary Clinton.

Il prossimo anno, se si dà retta ai sondaggi, potrebbe essere quello della rivincita, proprio a partire dai vecchi bastioni democratici come Detroit, passati al nemico. Dei dieci visti mercoledì sera sul palco del Fox Theatre, almeno quattro hanno probabilità, secondo i rilevamenti ultimi, di battere Trump: Joe Biden, Elizabeth Warren, Bernie Sanders e Kamala Harris.

Eppure il presidente repubblicano dà la sensazione di essere imbattibile, o comunque non si capisce come, con chi, il Partito democratico intenda e possa batterlo. Non lo si è capito dal confronto di Detroit, noioso e caotico, dominato da screzi personali e cavilli, così come non lo si era capito da quello precedente, a Miami, il primo.

Dieci milioni di telespettatori hanno visto il dibattito al Fox Theatre, più del programma top del momento The Bachelorette (7,2 milioni), ma molto meno del precedente dibattito a Miami (15,3 milioni). Il disinteresse incombe, altri otto dibattiti sono in programma, non sarà facile tenere desta l’attenzione nella lunga maratona di qui alla convention della prossima estate. I prossimi confronti dovrebbero funzionare meglio se non altro per via del progressivo sfoltimento dei partecipanti, a partire da quello di settembre, a Houston, dove saranno in sette: Biden, Booker, Harris, Warren, Sanders, Buttigieg, Beto O’Rourke.

La verità è che ci sarebbe già chi potrebbe battere Trump senza problemi. Peccato che non partecipi alla battaglia in corso: Obama. Non lui, presente di spirito nei dibattiti. Michelle. Michael Moore sostiene che l’ex-first lady è davvero in grado di tener testa a The Donald. E di schiacciarlo. Perché non basta pensare di batterlo, il presidente repubblicano, come appunto indicano i sondaggi, nominando almeno quattro degli attuali aspiranti candidati. Bisogna schiacciarlo, insiste il filmmaker che vide per primo arrivare la sconfitta di Hillary, quando era ancora la superfavorita. «Lo batterebbe nei dibattiti, non gli consentirebbe di fare il bullo con lei, non gli consentirebbe di affibbiarle soprannomi denigratori».

Verrà il momento dei confronti diretti tra il candidato democratico e il presidente, e in effetti dai due dibattiti visti a Miami e a Detroit non si è visto chi avrebbe la forza e l’abilità che non ebbe la supersperimentata Hillary, di mettere alle corde Trump. Michelle sì, ma appunto non è in gara. Obietta Moore: «Ma qualcuno gliel’ha chiesto?»