Ora che la riforma delle pensioni di Macron è legge, si può tracciare un raffronto definitivo con la situazione in Italia.

Il presidente francese aveva usato la riforma Fornero come termine di paragone nella sua intervista televisiva utilizzando l’argomento più evidente: l’età di pensione di vecchiaia. L’Italia ha il primato mondiale assieme a Islanda e Norvegia: 67 anni ad oggi e, grazie all’adeguamento automatico all’aspettativa di vita unico al mondo (l’aumento viene traslato totalmente sull’età di ritiro, come se tutta la vita fosse di lavoro), la prospettiva di arrivare a 70 anni entro il 2040.

In questo quadro, il passaggio da 62 a 64 anni – che arriverà progressivamente nel 2030 – della Francia risulta comparativamente limitato, collocandosi ancora molto indietro rispetto agli altri grandi paesi citati nel prospetto mostrato ai francesi dal loro – in gran parte – odiato presidente: si parte con gli Stati Uniti e la Svezia in cui si va in pensione a 62 anni; poi Giappone, Belgio e Canada 65; Germania 65 e 10 mesi; Regno Unito 66 anni, la Spagna e i «frugali» Paesi Bassi a 66 anni e 4 mesi.

In testa alla particolare classifica dell’età pensionabile, con 8 mesi in più, c’è l’Italia. Una posizione che perdura da ben 12 anni e difficilmente sarà mai scalzata, nonostante le fedifraghe promesse di «cancellare la Fornero» che Matteo Salvini e la Lega fanno dal 2018, senza mai intaccarla.

I PALADINI DELL’AUSTERITÀ contesterebbero a Macron di aver usato un metro di confronto sbagliato: «Bisogna guardare all’età effettiva di pensionamento!», cinguettano in tanti su Twitter. In realtà anche l’età di pensionamento effettivo si sta alzando repentinamente grazie alla Fornero: dai 60 anni del 2015 si è passati ai 63,8 del 2020. Ad abbassarne il livello rispetto a quella di vecchiaia sono semplicemente i molti «trattamenti diversificati» che esistono sia in Italia che in Francia. Tanto è vero che proprio la cancellazione dei principali «regimi speciali» (Ratp, Edf/Engie, Banque de France) che riguardano molte categorie di lavoratori transalpini è una delle parti più contestate della riforma Macron che il Consiglio costituzionale ha considerato legittimo.

UN ALTRO ELEMENTO DI GRANDE diversità riguarda poi il sistema di calcolo. Decenni di austerità, inculcata a reti e partiti unificati agli italiani, hanno fatto passare il concetto che l’unico sistema pensionistico sostenibile è il contributivo: tanti contributi verso durante gli anni di lavoro (raccolti nel «montante contributivo»), tanto assegno di pensione percepirò (il montante contributivo moltiplicato per i coefficienti). In realtà solo tre paesi dell’Unione europea su 28 adottano un sistema contributivo puro: l’Italia, la Svezia e la Lettonia.

La maggior parte dei paesi invece adotta ancora sistemi misti nei quali rimane, almeno in parte, il sistema retributivo: l’assegno di pensione è calcolato in base allo stipendio guadagnato, rendendo possibili pensioni più alte rispetto alle contributive.

IN ITALIA IL SISTEMA CONTRIBUTIVO vige fin dalla riforma Dini del 1995, seppur in modalità mista. Fornero lo ha trasformato in contributivo puro: penalizza coloro che non hanno versato contributi con continuità, in primis i lavoratori precari. Mentre il metodo retributivo permette di avere pensioni alte anche con (relativamente) pochi anni di contribuzione.
Pochi sanno invece che in Francia, sebbene con alcuni aggiustamenti, vige ancora il sistema retributivo con un periodo ampio di calcolo della retribuzione pensionabile: l’assegno è calcolato rispetto ai migliori 25 anni di contributi.

Anche per questo, Francia (e Germania) sono nella necessità di correggere il loro sistema per ridurne l’incidenza sul Pil (si parla del 16%) mentre l’Italia la percentuale è scesa e non si alzerà di molto nemmeno in vista del picco di spesa previsto nel 2050.

In più – altra rimozione nel dibattito italiano – nessuno ricorda che la riforma Fornero ha garantito una riduzione del debito pubblico pari a 130 miliardi dal 2012 a oggi. Soldi che quindi sono stati drenati dalla previdenza verso la fiscalità generale.

UNA COSA IN COMUNE i due sistemi però l’hanno: nessuno dei due prevede la Pensione di garanzia per i precari, il sistema usato (in Svezia ad esempio) per consentire assegni dignitosi (circa mille euro netti con 35 anni di attività nella proposta del professor Michele Raitano) ai milioni di lavoratori dai 60 anni in giù con buchi contributivi a causa della precarietà del lavoro.

Fatto il raffronto, resta la domanda delle domande: perché in Francia una riforma delle pensioni oggettivamente molto meno dura della Fornero ha prodotto una reazione sindacale e sociale così forte? Le specificità francesi non bastano a spiegarlo. E l’impietoso confronto fra gli scioperi in Francia e la blanda «mobilitazione unitaria» prevista a maggio tratteggiano un’Italia in cui l’austerità ha trionfato e non viene ancora rimessa in discussione.