Speriamo abbia ragione il Censis nel vedere, con la lente del suo annuale Rapporto sulla situazione sociale del paese, l’accentuarsi di «reazioni positive di contrapposizione a una prospettiva di declino»|.Senza nascondere che il 48% degli italiani vede bene l’uomo forte sopra il Parlamento, che siamo dentro un’accelerazione del crollo demografico e dell’invecchiamento della popolazione, che il lavoro è al primo posto e l’immigrazione al terzo.

Tuttavia, pur senza addolcire la pillola della crisi strutturale della nostra economia alla fine di questi anni 10 del secolo, la fotografia del Censis mette in evidenza i segnali di resilienza, paragonandoli ai «muretti a secco» che connotano il nostro paesaggio.

Nonostante il progressivo distacco dalla politica ormai guardata in tv come un reality, giudicata incapace di fare quel che annuncia e massimamente esperta nel rinvio di ogni profonda riforma, la società esprime un bisogno di reazione perché lo spirito di adattamento inerziale non basta più e «la corrosione delle giunture e delle guarnizioni» della società è sotto gli occhi di tutti.

Deboli segnali che non valgono alcuna promessa per il domani, ma semmai mettono ancor più in evidenza quanto sia difficile andare controcorrente rispetto agli slogan di una comunicazione infarcita di fake news (come per il recente complotto europeo contro i nostri conti correnti).

E quanto sia arduo metabolizzare il rancore e ritrovare uno spirito positivo di comunità nel tentativo di riportare il discorso pubblico nell’ordine delle necessità reali del paese. Non basterebbe un’impresa titanica.

Tra i muretti a secco di una società che tenta di reagire ci sono sicuramente le piazze delle sardine, perché in queste mobilitazioni spontanee, che vedremo tutte insieme a Roma il 14 dicembre, c’è indubbiamente un aspetto di positiva resilienza al linguaggio feroce della politica, una risposta fisica e collettiva, all’asfissia mediatica del salvinismo in tutte le salse, ma non solo. Di un populismo sparso a piene mani, di false risposte semplici a problemi sempre più complessi, sono responsabili in tanti, e ai 5Stelle spetta senza dubbio un posto in prima fila.

Il continuo rilancio al voto tra Pd e Di Maio somiglia a uno spettacolo di bullismo, alimentato da una comunicazione che annuncia la crisi di governo almeno due volte al giorno con titoli cubitali sparati a tutta pagina, sempre più somiglianti agli slogan da stadio delle prime pagine dei quotidiani sportivi. E se dalla carta stampata si passa agli studi televisivi cambia il mezzo ma non il messaggio, perché tengono banco volti urlanti e paonazzi, aizzati dal conduttore di turno.

Ma se effettivamente la convivenza a palazzo Chigi è ridotta a un tavolo di poker, al continuo rilancio, a chi bara di più e meglio, se quel che si vuole dimostrare è che non c’è alternativa alla via delle elezioni, non è difficile passare dalle parole ai fatti anzi, tutto il contrario, c’è un’autostrada davanti. Con la più che ragionevole certezza di arrivare al prossimo casello con un biglietto già stampato da Salvini e dai patrioti di Meloni.

Se è questo che l’armata brancaleone dei 5Stelle vuole, se è questo che «il pessimismo cosmico» di Renzi auspica e costruisce, saranno il paese e la democrazia a rimetterci. Ma sarà anche la fine di un Movimento che ha fallito tutte le prove di governo, prima portando acqua al mulino della Lega, poi a quello del Pd, fino a farlo sembrare di sinistra (e ce ne vuole).