Salone dei Cinquecento strapieno e applausi scroscianti durante gli interventi dei relatori Francesca Albanese, Mustafa Barghouti, Ruba Salih e Ilan Pappé, ben conosciuti dai lettori de il manifesto. Addirittura un boato, con tutte e tutti in piedi, quando il medico palestinese Barghouti ha chiuso il suo intervento assicurando: “Noi ce la faremo, nonostante quello che ci stanno facendo”.
Ha avuto un gran successo l’iniziativa “Pace e InGiustizia in Medio Oriente, focus Palestina”, organizzata dal Consiglio comunale e dal suo presidente, l’ex operaio Luca Milani, dopo un appello per la pace sottoscritto da oltre 80 realtà politiche, sociali e sindacali del territorio, unite nella rete Pace e giustizia in Medio Oriente.
Unici a stigmatizzare i renziani, ancor più dell’opposizione di destra. Stizzito in particolare il console onorario di Israele, Marco Carrai (“oggi mi sono vergognato di essere cittadino di Firenze”), Emanuele Cocollini consigliere comunale e presidente dell’associazione Italia-Israele Firenze (“provo vergogna e schifo”), e le altre consigliere Barbara Felleca (“Milani ha dimostrato di non essere adeguato al ruolo che ricopre”) e Mimma Dardano.
Fra il pubblico che gremiva Palazzo Vecchio molti esponenti degli enti locali toscani, delle associazioni impegnate per la pace e la cooperazione internazionale, e delle realtà antifasciste e antirazziste. Nel Salone anche Luisa Morgantini, Vania Bagni dell’Anpi, l’imam Izzedin Elzir, il moderatore Manfredi Lo Sauro dell’Arci e una parte del mondo accademico del capoluogo toscano. Una platea cui vanno aggiunte le migliaia di persone che hanno seguito la giornata in streaming, anche riunite nelle Case del popolo e nei circoli Arci.
Da Francesca Albanese, special rapporteur delle Nazioni Unite, fortemente osteggiata dal governo di Tel Aviv e accolta da un applauso caloroso, le coordinate di una realtà in cui i palestinesi sono da sempre de-umanizzati: “Bastano per tutte le parole del presidente Herzog, pronto a dire a chiare lettere ‘che non ci sono innocenti a Gaza’. Così gli israeliani giustificano quello che sta accadendo nella Striscia e in Cisgiordania, scartando a priori sia l’idea di uno Stato palestinese, che il diritto al ritorno di sette milioni di profughi”. Poi, citando il Sudafrica, ha ricordato l’importanza di utilizzare la categoria dell’apartheid per fare riferimento a quanto sta accadendo da decine e decine di anni.
Anche Ruba Salih, professoressa in discipline antropologiche, ha sottolineato il problema del diritto al ritorno negato, nonostante due risoluzioni Oni, a chi è stato espulso dalle proprie case, ricordando quanto in Israele sia forte il sentimento anti palestinese a cui un intero popolo è sottoposto. Mentre Mustafa Barghouti, medico già candidato alle elezioni presidenziali in Palestina nel 2005, proposto come Nobel per la Pace, ha accompagnato la platea in un vero e proprio viaggio nell’orrore: “Ad oggi si contano 37mila morti, di cui 12mila bambini, più di quanti ne siano stati uccisi negli ultimi tre anni in tutte le guerre che insanguinano il pianeta, e 9mila donne. Con altri 70mila che moriranno se non avranno cure mediche, impossibili perché i militari israeliani hanno distrutto tutti gli ospedali”. Poi da Barghouti il racconto delle numerose testimonianze sulle sempre peggiori condizioni sanitarie degli sfollati da Gaza, in particolare i minori, e sui pericoli che corre anche il personale medico ed infermieristico, costretto a operare ed amputare senza anestesia uomini, donne e bambini: “Genocidia e pulizia etnica – ha concluso – ecco quello che stanno cercando di fare”.
L’israeliana Sarit Michaeli, unica intervenuta in collegamento, fondatrice di B’Tselem’s, ha ricordato l’assenza di ogni ambiguità rispetto alla condanna dell’orrore del 7 ottobre 2023, rispetto all’attacco di Hamas. “Tutto questo però non può giustificare una logica di vendetta che colpisce in modo indiscriminato civili e vittime innocenti. Con 30 gruppi associativi abbiamo chiesto il cessate il fuoco, e non ci hanno minimamente considerato. Ma insistiamo”
Infine Ilan Pappé, uno dei maggiori storici del Medio Oriente, ha evidenziato l’importanza di parlare – in questo momento così difficile – di cosa avverrà “dopo la notte”, analizzando come il sionismo non stia funzionando sotto tutti i piani, da quello economico a quello morale. “Prima del 7 ottobre numerosi segnali avevano evidenziato i limiti dell’identità ebraica come identità nazionale, con le tante proteste interne allo Stato di Israele. Sono problemi che esiterebbero anche se non esistesse la popolazione palestinese. Ora, dopo quello che è successo e sta succedendo, lo status quo che durava da decenni non è più nemmeno ipotizzabile, e questo fatto segna l’inizio della fine del progetto sionista sull’intero territorio. Parlo da studioso che analizza i dati. E visto che la soluzione ‘Due popoli due Stati” è morta da almeno vent’anni, anche i palestinesi dovranno affrontare un percorso che alla fine porti tutte le fazioni, l’intero popolo, ad essere una realtà unitaria”.
Una realtà, tira le somme Albanese alla fine della giornata, “in cui non può esserci un popolo a scapito di un altro. E se anche in futuro non ci sarà uno Stato di Palestina, in ogni caso sull’intero territorio ci devono essere diritti uguali per tutte e tutti. Il colonialismo è genocida per sua natura, ce lo insegnano 500 anni di colonialismo europeo. E non dobbiamo dimenticare cosa è successo nel Sudafrica dell’apartheid, quando il boicottaggio avviato via via dagli altri Stati ha portato alla fine il governo, tutto di bianchi, ad arrivare alla conclusione che era necessario cambiare prospettiva di fondo”.