Il comitato giudiziario della Camera ha votato a favore dell’accusa di oltraggio al Congresso nei confronti del procuratore generale William Barr, in quanto questi ha nascosto parte del rapporto del consulente speciale Robert Mueller.

IL VOTO è avvenuto poco dopo la presa di posizione del presidente Trump, il quale ha bloccato la diffusione delle parti non ancora pubbliche del report invocando l’«executive privilege», la prerogativa che permette al presidente di opporsi alla richiesta di testimonianza e diffusione di atti concernenti le sue funzioni.

Quella che si profila è una lunga battaglia legale tra il Congresso e l’amministrazione Trump; il tycoon ha promesso di opporsi a tutte le citazioni dei democratici, i quali sostengono che l’ostruzionismo della Casa bianca alle inchieste del Congresso, potrebbero portare a procedimenti di impeachment e il presidente della Commissione di intelligence della Camera, il democratico Adam Schiff, ha inviato un mandato al Dipartimento di Giustizia per la consegna integrale del rapporto di Robert Mueller e di tutti i documenti raccolti nei 22 mesi di indagine sul Russiagate, fissando per il 15 maggio la scadenza per presentarli.

TUTTO QUESTO ACCADE poco dopo il «no» del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, che ha respinto la richiesta dei democratici della Camera, di consegnare le dichiarazioni dei redditi di Trump; a dire il vero già nelle scorse settimane Mnuchin aveva segnalato di non voler consegnare i documenti fiscali del presidente, e questo apre la strada a un altro possibile scontro in tribunale.

Non si è tenuto fuori dalla mischia il New York Times, che ha pubblicato le dichiarazioni fiscali di Trump del decennio tra il 1985 e il 1994, dove si legge chiaramente che in quegli anni le attività gestite da «The Donald» finirono sull’orlo della bancarotta, con perdite per circa 1,2 miliardi di dollari. Trump, quindi, avvalendosi della legge per cui gli imprenditori possono usare le perdite per evitare di pagare il fisco sulle future entrate, non avrebbe pagato tasse federali sul reddito, per 8 dei 10 anni presi in considerazione.

Il quotidiano, però, non fa giurisdizione, e in aiuto della Camera è arrivato il Senato dello Stato di New York, approvando un provvedimento di legge, il Trust Act, che consente al Congresso di accedere alle dichiarazioni delle tasse statali del newyorchese Donald Trump, per «propositi legislativi specifici e legittimi».

I legali del presidente non l’hanno presa bene, e nella documentazione depositata alla corte di Washington hanno chiesto di bloccare i mandati inviati dal Congresso alla società di consulenza del presidente, la Mazars Usa, in quanto «la richiesta manca di un obiettivo legislativo legittimo».

NON SOLO TRUMP, anche i suoi familiari più stretti hanno dei problemi, in particolare il figlio Don Jr; la Commissione di intelligence del Senato controllato dai repubblicani gli ha inviato un mandato di comparizione per farlo tornare in aula e testimoniare sul Russiagate. Sembrerebbe che il figlio maggiore del presidente stia valutando di invocare il Quinto Emendamento, che concede la possibilità di non rispondere alle domande per non autoincolparsi.