Al ballottaggio di Ostia Giuliana Di Pillo del Movimento 5 Stelle ha battuto Monica Picca di Fratelli d’Italia. La percentuale di votanti si è ulteriormente ridotta rispetto al 5 novembre: l’affluenza è stata del 33%. E i rapporti di forza sono mutati. Se al primo turno pochi punti dividevano le due sfidanti, è poi successo che la grillina ha battuto la candidata del centrodestra col 60% dei consensi. Il che significa che qualcosa è accaduto nelle giornate intense che hanno condotto al voto finale. Dove Di Pillo abbia preso quei consensi e cosa abbia cambiato rapporti di forza e composizione del voto è il tema di discussione.

CON SOLO 60 MILA VOTANTI e appena 2.300 preferenze a dividere le contendenti, anche spostamenti marginali possono fare la differenza. «Le vicende di CasaPound, degli Spada e l’incendio della sede Pd hanno spinto molti elettori del centrosinistra ad andare a votare contro la destra» ammette ad esempio Athos De Luca. Anche dalle parti della sinistra civica di Franco De Donno, che al primo turno aveva raccolto 6.000 voti (il 9% delle preferenze), qualcuno ha scelto 5 Stelle al ballottaggio, in chiave antifascista. Da destra la candidata sconfitta attacca: «Quella di Di Pillo è una vittoria sporcata dai clan e che vede un calo dei grillini di ben 17 punti percentuali, praticamente un crollo. Non hanno vinto da soli ma con i voti della sinistra, di CasaPound e della lista De Donno. Una convergenza di interessi in grande stile che comunque non ha scalfito il 40% conseguito dal centrodestra».

I GRILLINI ESULTANO. Virginia Raggi tralascia la scarsa partecipazione: «È la vittoria di tutti i cittadini e della voglia di rinascita». La sindaca si intesta una vittoria che assume un peso anche negli equilibri interni del M5S romano, vista la decisione di Beppe Grillo e Luigi Di Maio di non partecipare all’evento elettorale finale prima del voto e l’assenza (ufficialmente causa influenza) di Roberta Lombardi.

OSTIA NON È UN LUOGO qualsiasi per i grillini della capitale. È qui che il M5S alle elezioni comunali raccolse il 42%. Questo territorio esprime il capogruppo in Assemblea capitolina Paolo Ferrara e un consigliere regionale, Davide Barillari. Ieri Raggi ha presentato in Campidoglio la delibera sul Piano di utilizzazione degli arenili, strumento normativo che riguarda il business stimato quasi un miliardo e mezzo di euro delle concessioni balneari. È stata la vera posta in palio di queste elezioni municipali, anche se a causa della bolla mediatica dell’emergenza sicurezza esplosa dopo l’aggressione alla troupe della Rai, se ne è parlato molto poco. Raggi promette di dare seguito al lavoro della gestione commissariale del prefetto Domenico Vulpiani. Uno che, giusto per capire l’aria che tira, a poche ore dal voto diceva che sì la democrazia impone che gli amministratori vengano eletti, ma forse per Ostia si poteva fare uno strappo e dare più poteri ai commissari. Anche perché l’intervento del prefetto, nel 2015, non si rese necessario soltanto per l’arresto del presidente del municipio (Andrea Tassone del Pd, condannato poi a 5 anni nel processo Mafia Capitale) ma anche dalla corruzione che investiva tutta la macchina burocratica.

ALL’INDOMANI DEL VOTO di Ostia, con una tempistica che pare studiata, la sindaca annuncia «la fine del lungomuro», promettendo la rimozione delle barriere simbolo della speculazione che costeggiano il lungomare e bloccano l’accesso a buona parte dei 18 chilometri di spiaggia. Gli imprenditori del settore in questi anni hanno ingaggiato una guerriglia a colpi di ricorsi al Tar e cavilli amministrativi contro ogni tentativo di riforma del settore. Hanno spostato i loro voti sul M5S? Da mesi si vocifera di vertici segreti tra grillini e balneari. Di sicuro c’è che fanno buon viso: «Speriamo che ci sia un dialogo aperto per fronteggiare i temi prioritari: sicurezza, decoro e comodità», dice Ruggero Barbadoro che è presidente della Federazione imprese balneari di Roma e gestisce il lido Venezia, sul lungomare Amerigo Vespucci. Uno dei 71 stabilimenti all’interno dei quali la polizia ha individuato 77 «abusi gravi». Barbadoro auspica un compromesso tra «il benessere degli investimenti e i fruitori».