Sono passati quasi cinque anni dalla prima volta in cui, insieme ai senatori della Commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, sono entrato in un ospedale psichiatrico giudiziario (Opg). Era l’11 giugno 2010 a Barcellona Pozzo di Gotto. Lì abbiamo trovato un uomo della mia età, nudo, madido di sudore e legato con delle garze a un letto di contenzione di ferro, con al centro un buco per la caduta degli escrementi. Lo ripeto: quel letto non era vuoto, c’era una persona in carne ed ossa dentro.

Dopo due anni di sopralluoghi a sorpresa, audizioni e verifiche, la Commissione d’inchiesta ha ottenuto, il 15 febbraio 2012, l’approvazione di una legge che fissava la chiusura dei manicomi criminali al 31 marzo 2013 e l’assegnazione da parte dello Stato di risorse certe per l’assistenza ai pazienti, con infermieri, medici, psichiatri ed esperti di riabilitazione che potessero finalmente fare il loro mestiere: curare la mente e il corpo.

Tuttavia, come spesso accade nel nostro paese, siamo in enorme e colpevole ritardo. Per questo mi auguro davvero che il termine del 1° aprile 2015 sia rispettato. Dei manicomi criminali si parla dal 1978 e le Regioni, specialmente negli ultimi cinque anni, hanno avuto tutto il tempo per esaminare il problema e trovare delle soluzioni.

Per gli internati deve valere un principio essenziale, affermato dalla Corte Costituzionale: le esigenze di tutela della collettività non possono mai giustificare misure tali da recare danno alla salute del malato, quindi la permanenza negli attuali ospedali psichiatrici giudiziari che aggrava la salute psichica dell’infermo non può proseguire. Ecco cosa vuol dire chiudere gli OPG: una sanità degna di questo nome, nel pieno rispetto della comunità e delle vittime dei folli autori di reato. Questa non è una legge “per i criminali”. Questa è una legge per tutti noi, per riconoscerci in uno Stato che offre il rispetto che chiede. Perché la malattia mentale non resti uno stigma del quale avere paura.

*sindaco di Roma