Il generale Haftar, a colpi di occupazione di porti petroliferi, sta per archiviare quanto cercato: la legittimazione della comunità internazionale. Martedì lo ha ribadito l’inviato speciale dell’Onu in Libia, Martin Kobler, di fronte al Consiglio di Sicurezza: «Ho sempre detto che deve avere un ruolo all’interno di un esercito libico unificato e vorrei sedermi con lui per discuterne».

Da parte sua il capo militare del parlamento ribelle di Tobruk (che punta ad un posto nel governo di unità del premier al-Sarraj, possibilmente alla Difesa) mostra la sua faccia diplomatica: in un’intervista al quotidiano egiziano Al-Ahram Al-Arabi, definisce infondanti i timori occidentali. «Vogliamo liberare i terminal da una banda di miliziani [le milizie di Ibrahim Jadran, suo ex alleato] che ha bloccato l’export e darli alla Noc, l’ente petrolifero di Stato».

Interviene anche la National Oil Company, la Noc appunto, che promette di riattivare «subito» l’esportazione di greggio dai quattro porti petroliferi presi da Haftar (Ras Lanuf, Sidra, Zueitina e Brega). Deve solo trovare, dice il presidente Sanalla, un accordo con il generale che permetta di raddoppiare l’export. Dai 300mila barili al giorno attuali a 600mila nel giro di un mese.

Tutte brutte notizie per al-Sarraj, stretto tra le pressioni internazionali, le truppe di Haftar e ora la Noc. Per questo ieri ha chiesto a tutte le parti «di sedersi allo stesso tavolo per discutere i meccanismi di uscita dalla crisi». Anche quel parlamento di Tobruk che non lo ha mai riconosciuto partner legittimo.