Aspettiamo domani, quando il sottosegretario Franco Gabrielli riferirà al Copasir sull’eventuale coinvolgimento di politici italiani nella storiaccia tirata fuori con il tempismo di una bomba a orologeria da Washington, quella dei 300 milioni che Putin avrebbe sborsato dal 2014 per aiutare alcuni partiti in ben 24 Paesi. Tra parentesi, tenendo conto che non si tratterebbe di un solo partito per Paese, non è che lo zar appaia proprio di manica larga.

«Al momento l’Italia nel Report americano non c’è»: il presidente del Copasir Urso, che si sente parte in causa in quanto esponente di FdI, uno dei partiti sospetti per i pregressi nonostante la conversione atlantista, si affretta a chiarirlo col massimo clamore, pur sottolineando quel prudente«al momento». Più tardi, da Washington, lo stesso Urso rincara: «Da qui a venerdì le cose possono sempre cambiare». In effetti l’audizione di Gabrielli è stata fissata per domani proprio per lasciare agli Usa il tempo per stilare nuovi Report.

MA FDI, ANCHE SE il Pd insiste sui «dubbi» che evidentemente ancora circondano il suo improvviso atlantismo antiputiniano, non dovrebbe essere comunque coinvolta. Lo stesso Urso ha ottenuto dall’ex ambasciatore Usa presso la Nato il permesso di divulgare il contenuto di un biglietto privato nel quale Kurt Volker si dice certo che «FdI abbia zero coinvolgimenti con la Russia». Qualche ora prima era di avviso opposto.

Si vede che la minaccia di querela, ai danni suoi e di Repubblica che aveva pubblicato l’incauta opinione, ha avuto i suoi effetti. Sulla Lega, che indipendentemente dai sospetti di finanziamento non ha mai preso le distanze da Putin con la virulenza dell’alleata, Urso si limita a ricordare che ha votato sia tutte le sanzioni contro la Russia che l’invio delle armi. Quanto ai rapporti politici, «non si intromette».

SULLO SFONDO Washington e Mosca si rimpallano l’accusa di voler intervenire a gamba tesa nelle elezioni italiane. «Continueremo a lavorare con gli alleati per smascherare i tentativi di influenza politica della Russia», attacca il portavoce del dipartimento di Stato Usa. «Sfrontato tentativo di manipolare l’opinione pubblica in vista delle elezioni», rintuzza l’ambasciata russa in Italia. Il clima è da guerra fredda e conflitto globale però condito con molta della abituale propaganda italiana da strapaese. Il più sguaiato è Di Maio: «Ci vuole una commissione d’inchiesta. Dobbiamo sapere se ci hanno venduto a Putin».

Il Pd è più composto però martella sull’estrema gravità della faccenda e comunque, soldi o non soldi, il rapporto della Lega con Putin è grave e va disdetto, sottolinea col pennarello rosso Letta. Calenda reclama «i nomi prima del voto». Berlusconi cade dalle nuvole, «di questa storia non so nulla», Boschi alza la posta: «Ci sono state influenze straniere anche sul referendum del 2016?». Vedi mai che anche il tracollo di Renzi fosse colpa dei russi. Salvini, sprezzante però anche sulla difensiva: «Come al solito arrivano fake news a 10 giorni dal voto».

SE LE NEWS SONO o meno false, e di quanto spessore, lo si saprà forse domani. Ma la tendenza che si dispiega intorno a una vicenda tragica e minacciosa per il mondo è davvero un po’ «la solita». Riemerge la tentazione di fare campagna elettorale non sul confronto tra visioni diverse ma sulla delegittimazione degli avversari. Dai tempi del Berlusconi «caimano» l’esperienza ha insegnato che per quella via non si ruba un voto agli avversari ma non è questo in realtà l’obiettivo.

È la chiamata alle armi degli scettici, degli indecisi, dei disillusi, per convincerli a rassegnarsi e votare «utilmente», nonostante le delusioni, per fermare la minaccia di turno. Non fa un gran bene allo stato della democrazia e al livello del confronto politico ma è un tipo di propaganda del tutto lecito e largamente in uso nel mondo. Più spinoso è un possibile secondo obiettivo: quello di delegittimare i rivali se non agli occhi dei loro elettori almeno a quelli dei potenti alleati, nella riposta speranza che trovino modo loro di correggere i danni fatti dagli elettori. È già successo e non è stato un bene per la credibilità della politica e la fiducia degli elettori.

UN RISULTATO la mossa di Washington e l’uso che ne è stato fatto hanno però certamente ottenuto: l’iperattivismo di Urso e la chiusura a testuggine della Lega dimostrano che il nervosismo, a destra, stavolta monta davvero.