Benyamin Netanyahu le ha tentate tutte in queste ultimi giorni pur di impedire la nascita di quello che in Israele chiamano il «governo del cambiamento», dove per cambiamento si intende senza di lui per la prima volta in 12 anni.

Ha provato a strappare alla maggioranza un paio di deputati di destra poco convinti dalla composizione eterogenea della coalizione (otto partiti) messa in piedi dal centrista Yair Lapid e dal nazionalista religioso Naftali Bennett. Ha proposto al ministro della difesa Benny Gantz di occupare «subito e per tre anni» la poltrona di primo ministro in cambio della formazione di un esecutivo che non lo escluda. Ha invitato nella sua residenza per «colloqui» Mansour Abbas, il capo del partito islamista Raam, che con i suoi quattro seggi di fatto tiene in piedi la nuova maggioranza.

Come se non bastasse, i suoi alleati dell’ultradestra religiosa, rivela la stampa locale, per aiutarlo si sono rivolti all’Onnipotente invocando una maledizione, la «Pulsa de Nura», contro Bennett, «uno scellerato» che si allea con partiti laici e, addirittura, con gli islamisti di Raam. Folklore religioso? Mica tanto. Nel 1995 una «Pulsa de Nura» fu lanciata contro il premier Yitzhak Rabin – che aveva firmato gli accordi di Oslo con Yasser Arafat – poco prima del suo assassinio compiuto da un ebreo.

Tutto inutile. Dopo oltre 12 anni, Benyamin Netanyahu, a meno di sorprese clamorose, oggi passerà la carica di premier a Bennett, primo nella rotazione con Lapid a capo del governo. Gli accordi tra gli otto partiti della maggioranza, di vario orientamento ma in prevalenza di destra, sono stati depositati alla Knesset nei tempi stabiliti e il nuovo esecutivo attende solo il voto di fiducia previsto nel pomeriggio.

Qualcuno parla di «svolta epocale» in Israele. In verità siamo di fronte a leader di partiti, molto diversi tra di loro per ideologia e posizioni politiche, che si sono uniti allo scopo di rovesciare il nemico comune, Netanyahu. Neppure la partecipazione di Raam è una svolta. Il suo leader è stato fatto entrare nella coalizione in punta di piedi, dalla porta di servizio, con esponenti di Yamina, il partito di Bennett, che si sono opposti all’assegnazione «agli arabi» di incarichi di rilievo. E comunque è una maggioranza fragile, che si regge sul voto di appena 61 seggi su 120.

Non pochi prevedono la caduta del governo già tra qualche mese, a ridosso dell’approvazione della legge di bilancio. Il programma volto «a sanare le divisioni nella società israeliana», evitando però di «oltrepassare le linee rosse di ciascuno» è a dir poco velleitario. E la dozzina di miliardi di dollari che lo Stato, assicura Lapid, spenderà nei prossimi 5-10 anni nelle aree a maggioranza araba di Israele, sono una promessa che, prevendono tanti, non sarà mantenuta e che è servita solo ad ottenere i voti dei deputati di Raam.

Bennett sarà premier fino al 2023, Lapid guiderà gli esteri fino a quando non diventerà capo del governo. Il leader del partito Blu Bianco, Benny Gantz resta ministro della difesa. Le finanze vanno al capo di Yisrael Beitenu (destra estrema laica) Avigdor Lieberman, la giustizia al leader di Nuova Speranza (destra) Gideon Sàar. La laburista Merav Michaeli sarà ministra dei trasporti e il capo di Meretz (sinistra sionista) Nitzan Horowitz, diventa ministro della salute.

Raam ha avuto solo un posto di sottosegretario nell’ufficio del primo ministro e la legalizzazione di tre villaggi beduini nel Negev. Delle rivendicazioni dei palestinesi sotto occupazione nei Territori non intende occuparsi nessuno in questo nuovo governo, a cominciare da Mansour Abbas.