«Continua pure a sognare…Not today». Così, citando l’ormai mitica risposta di Arya Stark al Re della Notte nel Trono di Spade, il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha replicato, su Twitter, al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.

Il quale, rivolgendosi al ministro della Difesa Vladimir Padrino, al presidente del Tribunale di giustizia Maikel Moreno e al comandante della guardia d’onore presidenziale Iván Hernández Dala, li aveva sollecitati a procedere alla deposizione di Maduro («è la vostra ultima possibilità»).

ED È PROPRIO L’HASHTAG #TrumpNotToday ad aver spopolato nelle reti sociali in risposta al fallito tentativo di golpe di martedì scorso e alla mancata risposta di piazza – solo poche migliaia di manifestanti pro-Guaidó per le strade – di quella che l’autoproclamato presidente ad interim aveva annunciato come la «fase definitiva dell’Operazione libertà».

Un fallimento piuttosto rovinoso per il leader dell’estrema destra, sommerso da un’ondata di sarcasmo sotto un altro diffusissimo hashtag, #GuaidoOtraVezFracasó. E non è andata meglio neppure a Leopoldo López, corso a rifugiarsi con moglie e figlia prima nell’ambasciata cilena e poi in quella spagnola (su di lui ieri è stato emesso un mandato di cattura da parte di una corte venezuelana), e a 25 militari golpisti di basso rango scappati nell’ambasciata del Brasile.

Né ha certamente attenuato il senso della disfatta la ricostruzione – che appare in realtà piuttosto fantasiosa – offerta da Bolton, riproposta dal segretario di stato Mike Pompeo e infine diligentemente ripetuta dal presidente autoproclamato: che, cioè, alti funzionari venezuelani – cioè proprio Padrino, Moreno ed Hernández Dala – si sarebbero pronunciati a favore dell’abbandono di Maduro e che il presidente, pronto a salire sull’aereo che lo avrebbe condotto in esilio a Cuba, sarebbe stato dissuaso dai russi (o, a seconda delle versioni, dai cubani con l’aiuto dei russi).

«LE INFORMAZIONI sono vere, l’usurpatore era pronto ad andarsene e sono state forze straniere quelle che lo hanno obbligato a restare», ha ribadito Guaidó, assicurando che Maduro «non gode del rispetto delle Forze armate». Dichiarazioni a cui il presidente, al termine della giornata di martedì, si è riferito nel suo messaggio alla tv di stato pronunciato proprio accanto a Padrino e allo stato maggiore dell’esercito, tanto per smentire con i fatti l’esistenza di crepe all’interno della forza armata bolivariana: «Ecco fin dove arriva la stupidità, la follia e la manipolazione. Signor Pompeo, per favore, che mancanza di serietà».

E ieri il presidente è apparso nuovamente in televisione, sempre accanto a Padrino e circondato da soldati, per una marcia militare all’interno della base di Fuerte Tiuna a Caracas. «È giunta l’ora di combattere – ha detto – È giunto il momento di dare un esempio e dire che in Venezuela c’è una forza armata coerente, fedele e coesa».

LO STESSO PADRINO, peraltro, era intervenuto due volte martedì, prima su Twitter per ribadire la piena fedeltà della forza armata bolivariana alla costituzione e alle autorità legittime e poi in televisione per garantire il pieno controllo della situazione e attribuire all’opposizione la responsabilità di eventuali episodi di violenza. Episodi che, in ogni caso, non sono mancati, con violenti scontri tra oppositori e forze fedeli a Maduro cominciati martedì e proseguiti il primo maggio, e un bilancio di due morti e di decine di feriti.

Cosa possa accadere adesso, dopo l’ennesimo fallimento della frangia più estrema dell’opposizione, è difficile prevederlo. Rivolgendosi ai suoi sostenitori nel quartiere El Marqés della capitale, Guaidò ha annunciato l’avvio di un programma di scioperi scaglionati nell’amministrazione pubblica che, a suo giudizio, dovrebbe condurre a uno sciopero generale. E negando che quello di martedì sia stato un tentativo di golpe, ha dichiarato che l’unico vero colpo di stato si avrebbe con il suo eventuale arresto. Quanto a Maduro, parlando il primo maggio davanti alla «marea rossa» chavista, un’enorme folla di persone riunite a Miraflores in difesa del governo, ha convocato per domani e domenica una grande giornata nazionale “di dialogo, di consultazione, di presentazione di proposte” in direzione dei «grandi cambiamenti di cui la Rivoluzione ha bisogno».

L’ATTENZIONE, tuttavia, si sposta ora, nuovamente, verso le possibili reazioni dell’amministrazione Trump, che è subito tornato a evocare misure «devastanti» contro il governo Maduro, accusando al contempo Russia e Cuba di «destabilizzare» il paese. Con un’esplicita minaccia all’isola caraibica: «Se le truppe e le milizie cubane non cesseranno immediatamente le operazioni militari e di altro genere allo scopo di causare la morte e la distruzione della Costituzione venezuelana – ha scritto Trump in un tweet – imporremo un embargo totale su Cuba, insieme a più sanzioni».