Il caso dei (presunti) dossieraggi e dei (veri) accessi illegali alle banche dati investigative merita «una commissione parlamentare d’inchiesta» perché «abbiamo raggiunto il punto cruciale, forse un punto di non ritorno». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, con ogni probabilità, non è a conoscenza dell’antico detto sulle commissioni d’inchiesta che sarebbero il miglior modo per insabbiare un caso, quindi spinge per la parlamentarizzazione di un’indagine ancora aperta, dai contorni piuttosto oscuri e, soprattutto, non particolarmente grave dal punto di vista strettamente penale. La procura di Perugia, infatti, ha sì 16 iscritti nel suo registro degli indagati, ma tutti per reati minori come il falso, l’accesso abusivo a sistema informatico e l’abuso d’ufficio, che peraltro il governo si appresta ad abrogare (anche se non ci sarebbero effetti su questa come su altre storie in corso). Dopo le irrituali e durissime audizioni in commissione antimafia del capo della Dna Giovanni Melillo e del procuratore di Perugia Raffaele Cantone, però, il caso si è infiammato più di quanto già non lo fosse.

SARÀ CHE I DUE investigatori, pur ammettendo di non avere prove concrete al riguardo, si sono entrambi detti quasi sicuri che il finanziare Pasquale Striano non abbia agito da solo, che potrebbero esserci dei mandanti e che ci sono tantissimi elementi ancora mancanti nel mosaico dell’inchiesta. Preoccupante, e non poco, anche l’evocazione da parte di Cantone del possibile intersse dei servizi segreti stranieri a queste estesissime attività di monitoraggio illegale. Anche qui, zero prove, ma il sasso lanciato nello stagno è di quelli belli grossi, impossibili da non notare. E poi ci sono i numeri: gli accessi sono migliaia e i file scaricati decine di migliaia. Solo alcuni sono finiti sui giornali, altri non si sa se abbiano ingrassato qualche dossier o che fine abbiano fatto. L’impressione è che, più di un grande complotto, il punto del discorso sia in una metodologia d’indagine in effetti molto di moda negli ultimi anni: grandi incartamenti con pochi reati e molto contorno, frutto di estese e pignole raccolte d’informazioni varie, non necessariamente importanti ai fini dell’esercizio dell’azione penale.

«QUANTO sta emergendo in Dna è oggetto di indagine giudiziaria – ha detto ancora Nordio-. Ovviamente, il ministero della Giustizia è estremamente attento a quanto è stato riferito in questi giorni, soprattutto nelle audizioni. Le parole usate dal collega Cantone sono state estremamente forti e, dopo queste valutazioni estremamente severe, io credo che sia necessario fare una riflessione molto, molto profonda su quelle che sono le violazioni dei diritti individuali alla riservatezza». Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro della Difesa Maurizio Crosetto, cioè l’uomo che ha dato il via alle indagini con un suo esposto dopo che Domani aveva pubblicato un pezzo sui suoi lauti compensi da venditore di armi. Una mossa astuta: il ministro non ha voluto querelare il giornale, ma con la sua denuncia ha chiesto di fare chiarezza sulla genesi di queste informazioni. Da qui la scoperta delle attività di Striano e del pm Antonio Laudati, pure indagato a Perugia. «Ho sentito il presidente del Copasir Guerini, e la presidente della commissione antimafia Colosimo – ha fatto sapere Crosetto – e ho dato loro la mia piena disponibilità per un’audizione». Sull’istituzione della commissione d’inchiesta, poi, Crosetto è d’accordo con Nordio. Meno favorevole, però, appare il vicepremier Antonio Tajani: «C’è già la commissione antimafia che può lavorare. Andiamo avanti, poi se si può fare commissione inchiesta va benissimo. Ora c’è la magistratura, io credo che Cantone e il procuratore antimafia possano già dirci molto». Critico anche il deputato di Azione Enrico Costa, che di solito invece sui temi della giustizia tende ad andare d’accordo con governo: «Se il ministro lo ritiene eserciti i poteri ispettivi, ci risparmi un carrozzone pieno di toghe fuori ruolo».

IN TUTTO QUESTO si continuano a moltiplicare le richieste di ascoltare in commissione antimafia uno dei suoi componenti, l’ex capo della Dna e attuale senatore del M5s Federico Cafiero De Raho. Gran parte del caso delle intrusioni nei database, infatti, sono avvenuti quando lui era in carica e, in un paio di casi, era stato proprio lui a inoltrare ad altre procure segnalazioni frutto proprio del lavoro di Striano e Laudati. Non solo, mercoledì pomeriggio, durante la sua lunghissima audizione in commissione, l’attuale procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha raccontato di aver trovato un ufficio ridotto malissimo quando si è insediato, nel maggio del 2022. Un siluro indirizzato proprio a De Raho, che pur presente alla seduta ha scelto di non intervenire. I pentastellati, ovviamente, fanno quadrato intorno a lui («Basta fango e basta stupidaggini», dicono), ma è chiaro che la questione è appena all’inizio. Il governo e la destra stanno descrivendo l’inchiesta di Perugia come la prova provata dell’esistenza di un complotto mediatico-giudiziario contro di loro. Meloni ha tirato in ballo De Benedetti in persona, in quanto editore di Domani e storica nemesi del centrodestra italiano. La storia però sembra essere più complessa: tra gli spiati da Striano, infatti, non ci sono solo esponenti dell’attuale maggioranza, ma anche di centrosinistra.