Il ministro di Giustizia Carlo Nordio torna alla Camera per una nuova informativa sul caso Cospito e a tratti sembra di assistere ad una replica di quella pronunciata un paio di settimane fa dagli stessi banchi. Nel frattempo molto è cambiato: il parere depositato l’8 febbraio dall’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, a favore di un allentamento del regime di carcerazione cui è sottoposto il detenuto che il 20 ottobre aveva iniziato a rifiutare il cibo, è ormai di dominio pubblico. E perciò l’anarchico, che è ancora ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano ma sempre in regime di 41bis, da tre giorni ha parzialmente interrotto il suo sciopero della fame e ha ricominciato a nutrirsi con yogurt, miele e integratori. Una decisione necessaria per arrivare lucido almeno al 24 febbraio, giorno in cui la Cassazione deciderà sul ricorso presentato dal suo legale.

Ma l’avvocato Flavio Rossi Albertini avverte: se quel giorno la Suprema Corte «non dovesse annullare senza rinvio l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza, disponendo la revoca del 41 bis per Cospito, qualsiasi successivo provvedimento di favore per Alfredo dovrà essergli notificato al cimitero. Le condizioni di salute del detenuto sono infatti prossime al tracollo, Alfredo deambula a fatica, costantemente monitorato da uno strumento medicale portatile per la verifica del battito cardiaco, la sua salute non può attendere ulteriori rinvii».

Eppure per il Guardasigilli sembra che nulla sia accaduto: stessa posizione, stesso muro, stessi argomenti. Per Nordio infatti dallo stato di salute di Cospito, attentamente valutato, «non emerge, fortunatamente, alcun decadimento cognitivo del detenuto, unico elemento valutabile ai fini della incidenza sulla pericolosità sociale che viene in rilievo nella procedura di revoca del regime del cosiddetto carcere duro (lo chiama proprio così, ndr)». Pericolosità «confermata dal moltiplicarsi di azioni intimidatorie e violente», per cui «permane la sua capacità di orientare la galassia anarco-insurrezionalista». In ogni caso, aggiunge il ministro, la modifica del 41 bis non può essere subordinata alle sue condizioni di salute, «a loro volta determinate dalla scelta consapevole» dello sciopero della fame, perché «con la medesima strategia» anche i mafiosi potrebbero «ottenere una modifica».

Del parere del Pg della Cassazione – secondo cui nel caso di Cospito il 41bis è servito ad «impedire, al più, la perpetrazione del reato di istigazione» – nulla sapeva: «È un atto endoprocessuale – spiega Nordio – che il ministero non può conoscere e come tale non è mai stato richiesto né comunicato». Eppure prima di respingere, il 9 febbraio, la richiesta di revoca, Nordio aveva atteso il parere di «tutti i magistrati» che si stavano occupando del caso, almeno così disse. E invece ancora ieri il Guardasigilli ha fatto riferimento solo agli «elementi di novità addotti dalla difesa» che, ha affermato, «non hanno la necessaria portata demolitoria del 41bis», come confermato anche «nel parere del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo».

Stesso muro anche sul versante parlamentare: «Le parole riferite in aula da Donzelli non sono relative a documenti sottoposti a segretezza», ha ribadito Nordio spiegando che i brani di conversazione tra i detenuti al 41bis divulgati dal deputato di Fdi sono stati estratti da una «scheda di sintesi» del Nucleo investigativo della polizia penitenziaria, catalogate con la «dicitura “limitata diffusione”» che «è solamente una prassi del Dap». Quei colloqui «non sono stati oggetto di un’attività di intercettazione di comunicazioni, ma frutto di mera attività di vigilanza amministrativa». E invece, ad alcuni parlamentari del centrosinistra che ne avevano fatto richiesta dopo le dichiarazioni di Donzelli, il ministero ha fornito sì gli atti richiesti, ma «epurati dai dati sensibili».

Come fa notare la presidente dem, Debora Serracchiani, però «nessuna richiesta agli atti è mai stata fatta da Donzelli».
Per la maggioranza naturalmente tutto è chiarito, caso chiuso. Se poi la protesta di Cospito ha avuto una cassa di risonanza, questa, dice provocatoriamente il deputato di Noi Moderati Pino Bicchielli, è colpa del dibattito parlamentare, «e anche noi involontariamente ci stiamo facendo usare». Piccola bagarre per la protesta delle opposizioni; seduta sospesa per qualche minuto. Fine.