Riecco Nordio sulle intercettazioni. Nella replica della relazione sullo stato della giustizia che ha tenuto ieri alla camera, il ministro è tornato con insistenza sul tema. Per riproporre la distinzione tra intercettazioni preventive, quelle che non passano dall’autorizzazione di un giudice, e intercettazioni giudiziarie, che invece tale autorizzazione prevedono. E per concludere, con una singolare torsione nella sua dichiarata ispirazione garantista, che preferisce le prime. Perché sono intercettazioni condotte nella totale segretezza e dunque, lapalissianamente, non corrono il rischio di finire sui giornali.

«Le intercettazioni sono di tre tipi», ha spiegato Nordio ai deputati. «Il primo è quello relativo ai crimini che riguardano la sicurezza dello Stato, di competenza della procura nazionale di Roma. Nessuna di queste intercettazioni ultrasegrete è mai uscita sui giornali per una ragione molto semplice: è perfettamente individuata la competenza di chi deve garantirne la segretezza».

Spiega Gian Luigi Gatta, professore di diritto penale a Milano ed ex consigliere della ministra Cartabia che «queste sono le intercettazioni dei servizi segreti. Sulle quali peraltro il governo è intervenuto nella legge di bilancio, prolungando a sei mesi il periodo in cui possono essere conservate prima di essere obbligatoriamente distrutte. Sono intercettazioni che servono a sventare reati gravissimi, non a raccogliere elementi di prova. I servizi sono tenuti a informare l’autorità giudiziaria nel caso vengano a conoscenza di reati commessi, ma le intercettazioni così raccolte non sono utilizzabili nel procedimento giudiziario. Chi è stato ascoltato di regola non lo saprà mai».

«Vi è poi un secondo tipo di intercettazioni, preventive», ha continuato Nordio parlando ai deputati, «sono autorizzate dal pubblico ministero e servono come impulso alle indagini nella ricerca anche della prova ma, soprattutto, dei movimenti dei sospetti autori di reati. Queste intercettazioni sono utilissime. E sono segrete perché essendo il pubblico ministero, cioè il procuratore capo, l’unico responsabile della loro autorizzazione e della loro gestione, rimangono nella sua cassaforte e non vengono mai diffuse sui giornali, anche perché se lo fossero si individuerebbe subito in lui il responsabile».

«Questi due tipi di intercettazioni lodate da Nordio sono quasi sconosciute nella pratica del lavoro di un magistrato», spiega Stefano Celli, sostituto procuratore a Rimini, del comitato direttivo centrale dell’Anm per Magistratura democratica. «Se la tesi del ministro è che nessuno oltre il pm deve intervenire nell’esecuzione degli ascolti perché altrimenti c’è fuga di notizie, allora il magistrato dovrebbe non solo autorizzare le intercettazioni, ma anche materialmente disporle, far partire i nastri, ascoltarli, distruggerli… tutto lui da solo. Naturalmente non è così, sono operazioni che fa la polizia giudiziaria». «Queste intercettazioni urgenti autorizzate direttamente dal pm – dice il professor Gatta – si giustificano per evitare la commissione di reati e solo per questo, e temporaneamente, possono fare eccezione alla regola che gli ascolti vanno autorizzati da un giudice, a garanzia dell’indagato e del principio costituzionale della segretezza delle conversazioni»..

Ed ecco finalmente Nordio arrivare alle intercettazioni propriamente dette e comunemente impiegate, quelle dove c’è il controllo di un giudice e l’intervento della difesa. Quelle che gli piacciono di meno. «Poi vi è un terzo tipo di intercettazioni, quelle giudiziarie, effettuate su richiesta del pm e autorizzazione del giudice delle indagini preliminari», ha detto il ministro ai deputati. Aggiungendo subito che «qui il pasticcio è colossale. Perché transitando dal pm al gip, attraverso il deposito ai difensori, il transito dalle segreterie e dalle cancellerie e la selezione che viene fatta nel contraddittorio davanti al giudice, le intercettazioni finiscono a conoscenza di decine di persone. Poiché tutti hanno il diritto di ascoltarle tutte, gran parte delle quali riguardano fatti che non hanno niente a che vedere con i processi, inevitabilmente escono sui giornali notizie che diffamano l’onore di privati cittadini. Ecco l’abuso – ha concluso Nordio – sul quale noi vogliamo intervenire e sicuramente interverremo».

«Tutte le indagini – chiarisce il professor Gatta – devono essere fatte quando ci sono degli elementi concreti che lasciano immaginare la commissione di un reato, non si può intercettare a caso ed è proprio questa la valutazione che fa il giudice nell’autorizzarle. È lui a garantirle e proprio per questo solo queste intercettazioni, a certe condizioni, possono essere utilizzate nel processo». Quanto al rischio che denuncia Nordio «Il principio generale è che le attività di indagine sono coperte dal segreto, altrimenti non sono indagini. Il problema dunque va spostato sulla conservazione e sul momento in cui possono diventare note e quindi pubblicate. Proprio il punto su cui è intervenuta la riforma Orlando».

Si tratta di una riforma del 2017 che però, per via dei ripetuti rinvii dei governi Conte uno e due, è entrata in vigore solo a fine 2020. Prevede che le conversazioni irrilevanti vadano stralciate, ma quello che è rilevante a garanzia dell’indagato deve essere stabilito in contraddittorio con la difesa. Al momento di consentirne finalmente l’entrata in vigore, l’allora ministro 5 Stelle Bonafede cancellò dalla riforma il divieto di trascrizione delle conversazioni irrilevanti.

«Il rischio che circoli materiale non rilevante c’è – dice ancora il magistrato Celli – ma seguendo il ragionamento del ministro bisognerebbe concludere che il pm deve fare tutto da sé, le intercettazioni devono servire solo a lui e dunque la difesa neanche le deve conoscere. E sarebbe questa la soluzione garantista. Allora, se il problema sta a valle, non capisco perché non si stia proponendo di migliorare la procedura di deposito, conferimento all’archivio riservato, individuazione delle conversazioni rilevanti, trascrizione… Ma si stia invece immaginando di limitare a monte le intercettazioni, una fase in cui neppure il ministro individua criticità».

«La mia impressione – conclude il professor Gatta – è che il problema più che dalle norme dipenda dalle prassi e possa essere risolto perseguendo e sanzionando, così com’è previsto, i comportamenti censurabili. Dopo di che non è possibile continuare a discutere in astratto una materia così tecnica. Attendiamo che il ministro proponga un testo sul quale confrontarsi, cominciando però da una valutazione della riforma Orlando, che ha solo due anni di vita, basata sui fatti e non sulle sensazioni».