Elena Sorba è laureata, ha un lavoro di tutto rispetto, è una donna intelligente ed equilibrata. Ha due figli, maschio e femmina, che non vede dall’anno scorso quando li ha volontariamente accompagnati in casa famiglia «per evitare loro anche il trauma del prelievo forzoso» su ordine del tribunale di Milano. Elena Sorba ha denunciato il padre dei bambini per maltrattamenti, a lei e a loro, ben due volte. Sulla terza denuncia, presentata dai nonni, pende la decisione della procura.

Racconta la sua avvocata, Susanna Bruschi: «Secondo una specialista molto apprezzata, i racconti dei bambini indicano che c’è un’altissima probabilità che i maltrattamenti siano reali. Fra l’altro, il Codice Rosso prevede che la madre sia ascoltata entro 72 ore dalla denuncia. Cosa che non è avvenuta». In compenso, il tribunale ha deciso di allontanarli da lei, giustificando il provvedimento con «l’elevatissima conflittualità» tra i genitori. In particolare, Elena è accusata di dare troppo peso a quanto lei ritiene «accada presso la casa paterna» (i presunti abusi, in pratica).

LO SCORSO LUGLIO, Deborah Delle Donne, insegnante, con una scusa è stata bloccata dai vigili nei locali del municipio di Casalmaiocco (Lodi) mentre fuori assistenti sociali e polizia prelevavano con la forza il figlio di 9 anni, in quel momento in compagnia di un’amica, per portarlo in casa famiglia. La colpa di Deborah sarebbe quella di non aver obbligato il bambino a incontrare il padre che non voleva vedere. Per dovere di cronaca, va detto che il padre era stato denunciato per violenza domestica. E assolto.

Anche Laura Ruzza è un’insegnante. Il 26 luglio 2021 le forze dell’ordine hanno prelevato con la forza suo figlio di 6 anni, fra l’altro affetto da epilessia, per collocarlo in una casa famiglia alle porte di Roma. Anche Laura aveva denunciato il padre del bimbo per violenze domestiche, denunce archiviate. Da mesi, la donna chiede che il figlio le sia restituito perché le sue condizioni di salute stanno peggiorando velocemente. Ma nessuno le risponde. E qui si inserisce una variazione al tema piuttosto interessante.

Prima di Natale ’21, la senatrice Cinzia Leone, vicepresidente della Commissione Femminicidio di Palazzo Madama, ha visitato la casa famiglia in questione e chiesto di vedere il piccolo. A febbraio ’22, ha ricevuto una lettera dalla presidenza del senato in cui le si comunicava che il tribunale dei minori di Roma aveva protestato perché la sua iniziativa non era «connessa ad attività parlamentari» e sarebbe stata valutata dalla giunta per le autorizzazioni a procedere. Con tanti saluti ai poteri ispettivi delle commissioni parlamentari d’inchiesta. Dettaglio: la senatrice aveva pubblicamente criticato le condizioni in cui il bambino era tenuto nella casa famiglia.

CI SONO DECINE DI STORIE analoghe, quelle di Ginevra Pantasilea Amerighi, di Laura Massaro, di Emanuela Natoli, di Giada Giunti e decine di altre.
Ci sono storie ancora più drammatiche, come quelle di Erica Patti o di Antonella Penati, i cui figli sono stati uccisi da padri che la giustizia non ha ritenuto sufficientemente violenti da impedir loro di incontrarli. Come il caso del piccolo Daniele ammazzato dal padre a Morazzone (Varese) all’inizio dell’anno. O il caso del bimbo di 4 anni sequestrato e per fortuna liberato, in provincia di Brescia, qualche giorno fa.

Tutte queste storie hanno in comune alcune costanti: prevedono un’applicazione assolutistica della legge 54 del 2006, nota come legge sulla bigenitorialità e non tengono in alcun conto le allegazioni di violenza presentate dalle madri; evidenziano la protervia dell’istituzione giudiziaria nel trattare le madri e chiunque le appoggi; dimostrano la mancanza di una strategia da parte della magistratura per accertare i casi di abusi e maltrattamenti sui minori; fanno esibizione di forza nei prelievi nonostante sia stato bollata dalla Cassazione come strumento «fuori dello stato di diritto».

Coniglio dal cilindro, o se preferite grimaldello mille usi, insistono nell’uso della Pas nonostante sia stata a più riprese dichiarata inammissibile come prova in tribunale (vedi a lato).
E per ognuno di questi casi, una premessa: la parola delle donne non ha alcun valore. Mai.
(1 – continua)