L’Onu definisce il clima «la questione determinante dal nostro tempo» e convoca il Climate Action Summit, il 23 settembre a New York. Stati, attori economici e organizzazioni sociali esporranno le nuove iniziative per ridurre le emissioni del 45% nel prossimo decennio e arrivare a zero emissioni nette nel 2050. Intanto nella città statunitense e nel mondo milioni di persone animano una settimana di azione chiamata «sciopero globale per il clima per la fine dell’era dei combustibili fossili». I giovani attivisti hanno un ruolo centrale sia nelle iniziative di piazza che dentro il palazzo dell’Onu, che il 21 settembre convoca lo Youth Summit. Fra gli invitati – da tutto il mondo – a esporre le proprie proposte climatiche c’è l’italiana Federica Gasbarro, 24 anni, studentessa di biologia. È animatrice del nodo romano dei Fridays for Future, movimento nato sull’onda dello sciopero scolastico per il clima inventato nel 2018 dalla sedicenne svedese Greta Thunberg.

Come è stata selezionata dall’Onu con altri cento giovani per lo Youth Summit e quale progetto presenterai?

Il vertice Onu Climate Action, nel quale si inserisce il nostro incontro, è molto pragmatico, dalle parole alle azioni. Lo stesso segretario generale dell’Onu ha detto agli Stati di presentarsi con lavori concreti o di stare a casa. Il progetto per il quale sono stata scelta dall’Onu riguarda i fotobioreattori, le microalghe; è semplice, un’azienda lo può produrre con poche migliaia di euro. Non l’ho inventato io, le microalghe sono coltivate per produrre zuccheri, polisaccaridi, acidi grassi eccetera, ma non sono sfruttate per la loro capacità di assorbire grandi quantità di anidride carbonica. I fotobioreattori si potrebbero coltivare in zone con grandi emissioni di gas climalteranti, per esempio vicino a poli industriali.

Occorrono piani concreti, dice l’Onu, per ridurre le emissioni del 45% entro un decennio e arrivare a zero emissioni nel 2050. Cosa dovrebbero fare concretamente – a livello di leggi, tecnologia, sistemi produttivi, cultura – i paesi che hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica?

Ho un background prettamente scientifico, su leggi ed economia non posso entrare troppo nel merito. Ma chi gestisce il mondo deve ascoltare la scienza, la quale grida che i combustibili fossili sono il problema. Allora, basta con gli investimenti in un sistema malato! Si investa nel green, si finanzi chi vuole cambiare, riconvertire. Il clima è stato attaccato e chiede giustizia in tempi rapidi. Ovviamente ci aspettiamo misure drastiche da parte degli Stati, a tutti i livelli, da quello locale a quello mondiale. Il messaggio di noi semplici studenti è: «Datevi una svegliata per dare a tutti un futuro». Per questo spingiamo perché i vari Stati dichiarino l’emergenza climatica, un provvedimento che contribuirebbe a mettere in moto le cose perché agirebbe anche a livello psicologico: gli stessi cittadini prenderebbero tutto più sul serio.

Come sono nati e cosa fanno i Fridays for Future in Italia?

In Italia il movimento ha seguito il percorso avviato nei mesi precedenti in altri paesi. Dalla Svezia, Greta postava le foto delle proprie azioni con l’hashtag #fridaysforfuture. Le persone hanno iniziato a riunirsi, via via sono nate tante realtà locali anche nel nostro paese, dapprima con pochissime persone, compresa Roma – al primissimo strike al quale ho partecipato eravamo a malapena una ventina – poi fra febbraio e marzo c’è stata una crescita esponenziale, anche grazie al coinvolgimento delle scuole, e il 15 marzo allo sciopero globale eravamo 30mila. Nel movimento – di cui può far parte chiunque condivida e scenda in piazza – ci si tiene in contatto con Internet e i social con i quali si coordina anche per le azioni globali.

Da più di un anno ormai Friday For Future scende in piazza con grande risonanza mediatica ma non sembra aver ottenuto grandi risultati pratici dal mondo politico. È d’accordo?

Il tempo è poco, la scienza – che non dà numeri a caso – parla di undici anni. È a livello globale che vanno misurati gli impegni. E i risultati ancora non si vedono: le emissioni continuano a salire. Quindi, ringraziamo chi ci ha dato tanta voce e risonanza, altrimenti forse il movimento non sarebbe andato avanti a lungo; ma chi dovrebbe fare il suo dovere, ancora non lo fa. Sono certo processi lenti, sono stati avviati tanti negoziati, gli Stati si rilanciano le responsabilità. Secondo gli accordi di Parigi i paesi sviluppati dovrebbero ridurre le proprie emissioni anche per permettere agli altri di svilupparsi. La domanda è: perché non adoperarsi per far sì che i paesi meno sviluppati evitino gli errori fatti da noi? Le nuove energie portano anche tanti posti di lavoro…

Non è strano che Greta – che pure fa esortazioni dure – sia applaudita anche da: politici ai massimi livelli, mondo del business, media multinazionali, celebrità miliardarie, categorie che a prendere sul serio il clima perderebbero molti privilegi?

Greta adesso ha i tanti riflettori puntati addosso. Quindi per alcuni sostenerla significa mostrarsi dalla parte giusta. È pubblicità positiva. Ma, sottolineo, un leader politico che la appoggia a parole, deve poi fare seguire i fatti. Un altro elemento potrebbe essere: queste persone adulte sanno di aver sbagliato nel passato, hanno la coscienza sporca e dopo una vita di condotta biasimevole dicono: «Ha ragione questa ragazzina, la appoggio»; e magari lo fanno sul serio, per esempio incentivando l’economia green.

Il movimento ha il suo punto di forza nel pragmatismo, ma come può concretamente guidare il governo del proprio futuro?

Siamo un movimento orizzontale e fluido. Una parte di noi dice che occorre stare in piazza e basta, altri invece sostengono che occorra ascoltare le proposte dei potenti, ribattere con le nostre e così via. Occorrerà trovare un punto di convergenza fra queste due linee; è necessario perché non possiamo ignorare che le istituzioni hanno in mano il potere. Vedremo anche a New York che cosa accadrà.

La maggioranza di giovani e adulti nei paesi benestanti si comporta tuttora in modo indifferente. Nemmeno l’Amazzonia al rogo tocca i cuori?

L’Amazzonia è vista come qualcosa di lontano, ti tocca solo nei trenta secondi della notizia. Per altri versi agisce la mancanza di conoscenza. Adesso un po’ è cambiato, anche solo per moda. Ma il cambiamento urgente e totale che chiediamo noi giovani non c’è. È difficile, da adulti, sradicare consolidate abitudini. Lo fai se sei costretto. Allora o aspettiamo che ci costringa la Terra, oppure – più saggiamente – le istituzioni devono introdurre provvedimenti che inducano a mutare il modo di vivere. Per esempio, usare la bicicletta in città non deve essere un pericolo per l’incolumità e la salute.

La campagna ActNow dell’Onu suggerisce ai singoli 10 azioni moderate: pasti senza carne, docce meno lunghe, guidare meno, prodotti locali, riciclare, spegnere le luci, togliere le prese, riuso, shopper di tela, moda zero waste. Quanto ai giovani di FFF, quali sono i loro stile di vita?

Certo siamo per il trasporto pubblico. Molti sono vegan o vegetariani, io ho ridotto molto la carne, ci penso di più. Degli allevamenti si parla molto, come della bicicletta e della borraccia. C’è chi usa gli abiti usati. Poi anche cose meno note: gli evidenziatori a matita, le tovagliette trasparenti a base di un polisaccaride alternativo alla plastica, perfino i dischetti a base di bambù struccanti lavabili. Eccetera.

Di quali forme di finanziamento si avvale FFF?

Quando abbiamo bisogno lanciamo un crowdfunding. Quando è venuta Greta abbiamo ricevuto, a colpi di euro, 25mila euro, spesi in buona parte per i palchi, uno con l’alimentazione a pedali, per il servizio di sicurezza per lei, per un furgone ecologico…Per i soldi non litighiamo.