Capitanerie di porto, guardia di finanza e questure varie dovrebbero leggere con attenzione quello che ha stabilito ieri il tribunale di Reggio Calabria in merito al caso della nave Sea-Eye 4 che l’11 marzo scorso era stata fermata per due mesi dopo il soccorso di 80 migranti.

Dovrebbero leggerlo con attenzione perché non ci hanno fatto una bella figura nel caso specifico e perché quello che è accaduto nel capoluogo calabrese rischia di ripetersi nelle altre città dove le navi ong sono state perseguite, senza indagini e ottemperando ordini prestabiliti altrove. Ovvero a Roma.

Per il giudice il verbale di fermo della Sea-Eye 4 è «illegittimo» perché «i fatti contestati all’ong sono indimostrati o lo sono in modo assai contraddittorio, all’esito di un’istruttoria che appare incompleta e fondantesi su un unico atto, una email di sette righe, inviato dall’Autorità libica». In pratica il processo ha stabilito che l’Italia blocca le navi umanitarie con contestazioni che non sono supportate da nessuna prova. A parte delle mail di dubbia validità, in questo di sole «sette righe», firmate a Tripoli. .

Queste ricostruzioni sono puntualmente contraddette dalle prove documentali che le organizzazioni umanitarie forniscono in sede processuale. Stavolta quello che avevano scritto i libici è stato smentito persino dalla registrazione dei saluti tra soccorritori e «guardia costiera» di Tripoli successivi alla conclusione dell’intervento. «A fronte di pretese inottemperanze da parte dell’ong alle indicazioni impartite […], alla prima occasione di contatto con il comandante della Sea Eye 4 [le autorità libiche] lo avrebbero ringraziato per la collaborazione prestata», scrive il giudice.

«Occorre interrompere le relazioni opache tra Roma e Tripoli e supportare, non punire, le organizzazioni della società civile che in assenza di iniziative pubbliche salvano la vita delle persone. Il decreto Piantedosi va abrogato perché contrario allo spirito delle convenzioni internazionali e della costituzione», attacca il legale della difesa Dario Belluccio. Secondo l’ong la sentenza «dimostra chiaramente che il fermo di navi di soccorso civili è un abuso dei poteri dello Stato».

La Sea-Eye 4 può tirare un sospiro di sollievo: era stata l’unica nave sottoposta all’applicazione della recidiva in base dal decreto Piantedosi. La norma prevede tre livelli di sanzioni: un fermo di 20 giorni, poi di 60 e, alla terza violazione, la confisca del mezzo.