Nella crapula elettorale di oggi – elezioni politiche in Scozia, Galles, amministrative in Inghilterra più la by-election del seggio parlamentare di Hartlepool – spicca il voto per designare il prossimo sindaco della capitale, con corredo dei 25 membri della London Assembly che dovrebbero controllarne l’operato. Doveva tenersi l’anno scorso ma è stato rinviato causa pandemia. Sadiq Khan, il laburista sindaco uscente – e probabilmente rientrante dato che è di gran lunga il favorito – ha passato cinque anni di fuoco tra pandemia, recessione, Brexit, attacchi terroristici e politici (con il particolare onore di essere stato preso di mira da Trump in persona perché… musulmano). Ma è ovviamente pronto a sobbarcarsi ancora l’onere.
Come dal resto della congerie elettorale – a parte forse la Scozia, dove sopravvive in forma nazionalistica e secessionistica – la politica è vistosamente assente dalle municipali londinesi: l’opinione pubblica è concentrata sulla gestione e il contenimento della pandemia, e poco gliene cale delle furberie da arredamento d’interni della power couple Symonds/Johnson. Un punto, questo, tutto sommato a favore di Khan, che dopo il secondo mandato potrebbe addirittura ambire a guidare il partito laburista visto che il rimedio (Starmer) si sta confermando puntualmente peggiore del male (Corbyn). È dunque prevedibile che gli elettori londinesi, sei milioni in tutto, lo designino per il secondo mandato, un po’ come il presidente Usa della spensierata epoca pre-Trump.
Ciò non toglie che i candidati allo scranno londinese siano una ventina, di cui sei più o meno rispettabili, gli altri ascrivibili – con tanto di rispettivi programmi – a quell’avanspettacolo di cui c’è sempre più disperato bisogno. Tutti in corsa per i 19 miliardi di sterline (circa 22 miliardi di euro) che il governo mette a disposizione del sindaco per raddrizzare l’economia malconcia della capitale dopo infiniti mesi di lockdown e 300mila posti di lavoro persi. Il sei per cento della popolazione cittadina richiede sussidi di disoccupazione, il turismo è ovviamente ancora ibernato.
MA LA GRANDE SFIDA di Khan – o chi per lui – sarà comunque il recupero e la salvaguardia dei trasporti pubblici. Il lockdown ha minato ulteriormente i già magri introiti dell’azienda municipale di trasporto pubblico, la Transport for London, che gestisce metropolitana (la più cara del pianeta anche perché l’unica a non ricevere ufficialmente il sostegno economico dal governo) e autobus. Tfl è stata tenuta a galla con quattro miliardi di emergenza dal governo centrale, e l’assai attesa Crossrail – che fiocina la capitale da est a ovest meglio della Central Line ed era un estensione necessaria per un sovraccarico network di origine vittoriana – ha infilato finora svariate scadenze e bilanci senza rispettare le une né gli altri (doveva essere inizialmente inaugurata nel 2018 e nel frattempo è finita overbudget di 4 miliardi di sterline).
Altri punti dolenti che richiedono cure immediate sono gli alloggi – in permanente scarsità rispetto al fabbisogno, ne servirebbero 66mila ogni anno, l’inquinamento da città mineraria – che ammazza le persone da anni ma solo ora viene riconosciuto in tutta la sua letalità – e naturalmente il fatto che Londra sia venduta un tanto al mattone a capitali stranieri di dubbia provenienza ormai da decenni grazie soprattutto al doppio, precedente e letale mandato di Johnson. Indubbio segnale, quest’ultimo, di ottima salute del sistema.