Quattro colpi alla testa, uno alla schiena. È stato trovato ieri mattina così il cadavere di uno dei più conosciuti e attivi oppositori di Hezbollah, Lokman Mohsen Slim, giornalista, attivista, regista e produttore. Nel posto passeggeri dell’auto a noleggio nera con cui tornava a Beirut, in un lago di sangue.

A sei mesi esatti dall’esplosione al porto che ha provocato 200 morti, 7mila feriti e devastato la capitale, i manifestanti che si erano dati appuntamento ai palazzi di giustizia di Beirut, Sidone, Tripoli, Jounieh e Zahle per denunciare l’inefficienza dei provvedimenti presi, hanno aggiunto un altro motivo di protesta.

LE CAUSE DELL’ASSASSINIO, che è avvenuto in un’area di influenza di Hezbollah, sono comunque ancora da accertare e la procura ha aperto un’indagine.

Famiglia e oppositori del partito non hanno invece dubbi: Slim, avversario pubblico del Partito di Dio (che ha negato ogni responsabilità), era a sua volta accusato di essere una pedina americana. Un intero file a suo nome, con i tanti viaggi a Washington, viene reso noto da Wikileaks.

Nato nel 1962 a Haret Hreik, quartiere a maggioranza sciita vicino all’aereoporto di Beirut, Slim studia filosofia in Francia e nel 1988 torna in Libano, dove fonda la casa editrice Dar al-Jadeed (La Dimora del Nuovo), che pubblica per la prima volta in arabo, fra i tanti scritti controversi, anche quelli dell’ex-presidente riformista iraniano Khatami, promotore di diritti civili, libertà di espressione e aperto oppositore di Ahmadinejad.

NEL 2001 CREA la casa cinematografica Umam Production che dà alla luce film come Massaker nel 2005, premiato a Berlino, sull’eccidio nei campi palestinesi di Sabra e Shatila del 1982 per mano dei falangisti cristiani sotto gli occhi dell’esercito israeliano, e Tadmur nel 2016, sulle atrocità nella prigione siriana di Palmira.

Nel 2004 fonda la ong Umam Documentation and Research che si propone di creare un archivio storico della guerra civile (1975-90), argomento tabù nelle scuole libanesi.

In aperto contrasto con il sistema politico confessionale, il suo ultimo progetto in occasione delle elezioni del 2005 Hayya Bina (Andiamo!) promuove il coinvolgimento dei cittadini nei processi politici, specie nelle comunità sciite. Secondo i cable di Wikileaks, aveva ricevuto fondi dalla statunitense Middle East Partnership Initiative.

L’OMICIDIO AVVIENE a distanza di una settimana dai fatti di Tripoli, area storicamente povera, ma ridotta letteralmente alla fame dalla crisi economica e dalla pandemia: quattro giornate di rivolta scatenata dall’assenza dello Stato in occasione del rigido lockdown imposto al paese in emergenza sanitaria, 500 feriti e un manifestante di trent’anni, Omar Tayba, morto per i colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia.

Per Maher A., educatore e attivista politico, la famiglia Hariri, che accusa Hezbollah e gli Aounisti di essere la causa della rovina del paese, cerca solo di cavalcare la frustrazione e la rabbia scoppiate spontaneamente in piazza.

Per il fotografo e attivista Saade Kh, non è invece chiaro se la protesta sia stata spontanea o organizzata. Quello che è chiaro invece è l’esistenza di «materiale grezzo» da manipolare da parte di chi ha potere e soldi.

Posizioni che danno il polso di una situazione tesa che si muove ancora nella palude del confessionalismo e di un sistema di potere clientelare, familiare, corrotto, che la rivolta scoppiata il 17 ottobre 2019 non ha nemmeno scalfito.

Di ieri il comunicato congiunto di Francia e Stati uniti: fanno pressione affinché si acceleri la formazione di un governo nel pieno delle sue funzioni che promuova le riforme necessarie per uscire dalla crisi economica e sociale, conditio sine qua non per lo sblocco dei 253 milioni di euro francesi. Macron, che ha annunciato la terza visita dall’esplosione al porto, verrà solo allora.

SI ALLUNGA LA LISTA degli omicidi politici, che pareva ferma al 2013, quando un’autobomba uccise Mohamad Chatah economista e diplomatico del partito di Hariri e sette suoi uomini, e nella quale spiccano i nomi di Kassir e Tueni, i due giornalisti uccisi nel 2005, anno dell’attentato a Hariri padre. Un ultimo atto che sprofonda il paese ancora di più in un clima di terrore e tensione.