Guarda chi si rivede, l’opera rock. La sua immagine si era un po’ sbiadita dopo i fasti degli atti settanta nati sulla scia di successi assai longevi e volutamente trasgressivi come Hair e Oh! Calcutta! E invece sono qui in tanti, in fila all’ingresso del teatro Bonci, a Cesena, dove ha debuttato Lazarus, (ora in scena fino al 23 aprileall’Argentina di Roma) versione italiana del musical scritto da David Bowie insieme a Enda Walsh – del drammaturgo irlandese si ricorda soprattutto il giovanile Disco pigs, scatenato teatro rock nella versione di Thomas Ostermeier che vedemmo ad Avignone. Era stata l’ultima apparizione di Bowie sulla scena, a dicembre del 2015 a New York.

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Bowie secondo Kent, un atlante fotograficoUN MESE dopo sarebbe scomparso. E si può comprendere che lo spettacolo intercetti l’attenzione di pubblici di generazioni e attitudini diverse, vuoi i numerosi cultori del «duca bianco», che ancora ricordano una fuga dalla scuola per andare ad assistere a un suo concerto; vuoi quelli richiamati dal protagonista Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours oltre che personaggio di fama televisiva.
Valter Malosti, regista e direttore artistico di Ert, se ne è assicurato i diritti per farne la produzione di punta nella stagione dell’ente pubblico emiliano. Impegnativa già a giudicare dalla scena di Nicolas Bovey, una piattaforma girevole collocata fra i gradoni laterali occupati dalla band che gioca ovviamente un ruolo di primo piano nello spettacolo. Sul fondo quattro grandi monitor sono utili soprattutto per arricchire di interferenze l’ambiente sonoro e più in alto è ritagliata una sorta di camera delle apparizioni in cui possono prendere corpo storie parallele.
Lazarus riprende la vicenda del viaggiatore interstellare rimasto intrappolato sul nostro pianeta, «l’uomo che cadde sulla terra» del romanzo di Walter Tevis diventato poi il film di Nicolas Roeg, protagonista proprio David Bowie. Thomas Newton, così si chiama, è ancora qui. Invecchiato e tormentato dalla visionaria nostalgia della ragazza che ha amato e desideroso di finire in pace la sua vita piuttosto che di costruire il missile in grado di riportarlo nel mondo da cui è venuto. Lui infatti sta morendo ma non può morire, dice così.

SULLA PIATTAFORMA gira la poltrona dove siede un po’ abbandonato il protagonista, lunga vestaglia damascata color bordò e bicchiere di gin in mano ad ammorbidire le suggestioni cristologiche che già il film di Roeg aveva alimentato. C’è una donna giapponese in chimono e un assassino in libertà che fa un po’ Andy Warhol. Un trio di teenager che fanno il coretto a This is not America e Ch-ch-changes. Compare una ragazza che non ricorda il proprio nome. (Fra i numerosi interpreti la coreografa Michela Lucenti e il cattivo Dario Battaglia). Difficile però da questo mettere insieme una trama e forse non ne vale nemmeno la pena, anche perché tutto sembra nascere come un’allucinazione del protagonista e anche la ragazza non sa bene in quale sogno viva. Ed è bravissima Casadilego, nome d’arte di Elisa Coclite, vera sorpresa della serata, anche lei uscita da un talent televisivo ma mica gliene si può fare una colpa. Ascoltarla in Life on Mars non fa rimpiangere Bowie.
Perché alla fine si torna lì, alle canzoni del Duca Bianco incastonate nel flusso delle immagini. Alcune famosissime, da The man who sold the world a Heroes che chiude lo spettacolo, altre scritte per l’occasione. E ognuno, come sempre avviene, può scegliere fra le loro parole quelle che più gli assomigliano. Voltati e affronta l’ignoto.