«Hezbollah non è mai stato così forte. Abbiamo 100mila combattenti addestrati, armati, strutturati, con esperienza». Non sono soltanto numeri che descrivono il potenziale bellico del movimento sciita quelli che ha riferito lunedì Hasan Nasrallah nel suo primo discorso dopo i tiri di cecchini che giovedì scorso a sud di Beirut hanno ucciso sette persone a una manifestazione contro il giudice Tarek Bitar. Rappresentano più di tutto un avvertimento per quelle formazioni che, a detta del segretario generale di Hezbollah, starebbero lavorando per far precipitare il Libano in una nuova guerra civile. Hezbollah e l’altro partito sciita Amal ritengono le Forze Libanesi, un partito cristiano di estrema destra, responsabili dell’uccisione dei sette manifestanti. Le Forze libanesi negano ogni coinvolgimento ma il loro leader Samir Geagea, imprigionato in passato per crimini commessi durante la guerra civile (1975-90), ha ammesso che alcuni «abitanti» del quartiere di Ayn Remmane, popolato in prevalenza da cristiani, hanno «difeso» la zona dalla presenza di militanti di Hezbollah. Nasrallah lunedì ha categoricamente respinto l’accusa di minacciare i libanesi cristiani. «Abbiamo protetto i cristiani in Siria contro l’Isis e i libanesi ad Arsal», ha detto ricordando gli attentati compiuti in Libano da jihadisti provenienti dalla Siria. Hezbollah peraltro è alleato della Corrente dei patrioti liberi, il più importante dei partiti cristiani, che fa capo al presidente Michel Aoun.