Forse qualcosa si sta muovendo per giungere a un cessate il fuoco nel Nagorno-Karabakh, l’enclave ad etnia armena all’interno del territorio azero. Mentre scriviamo sono in corso ancora dei colloqui tra i ministri degli esteri dei paesi belligeranti, l’armeno Zograb Mnazakanyan e l’azero Dzeykhun Bayramov, mediati dal loro omologo russo Sergey Lavrov.

I diplomatici erano giunti a Mosca nel pomeriggio su invito di Putin. La Russia ha da qualche giorno preso in mano il pallino della trattativa, cercando di convincere l’Azerbaigian a fermare l’avanzata, sta trovando sponda all’Eliseo dove Emmanuel Macron tesse la tela con gli armeni. Malgrado Nikol Pashinyan abbia continuato a spingere – sostenuto dalla diaspora armena parigina – perché Parigi riconoscesse la repubblica di Artsakh, il presidente francese ha resistito conscio che una tale decisione rischierebbe di distruggere il lavorio diplomatico di queste ore.

L’agenzia Apf afferma perfino, citando proprio fonti francesi, che si sarebbe a un passo dalla tregua. Un’impressione condivisa dall’editorialista del moscovita Kommersant Dmitry Drize secondo il quale già forse da stanotte potrebbe essere sancita una «tregua umanitaria» per lo scambio dei prigionieri e dei corpi dei morti.

Secondo Drize, «tutti capiscono che trascinare la guerra, dallo stato di movimento a quella di posizione sarebbe una soluzione irta di conseguenze indesiderabili per tutti». Il presidente azero Ilham Alyev sta già cantando vittoria: «Stiamo costringendo l’occupante, l’aggressore, alla pace. Abbiamo dimostrato loro che stiamo vincendo sia sul campo di battaglia che sul tavolo delle trattative. Hanno visto la nostra forza, la nostra volontà. Nessuna forza può farci deviare dalla nostra retta via. Nessun paese può influenzare la nostra volontà…» ha detto in serata il leader azero. Le sue truppe avrebbero ostruito tutte le vie che collegano il Nagorno all’Armenia e la trattativa futura potrebbe essere condotta da posizione di forza. Anche se è impossibile immaginare che la comunità internazionale non riuscirà a imporre un corridoio umanitario.

Esiste tuttavia un’ulteriore difficoltà visto che esiste un terzo attore nel conflitto: la Turchia. Recep Erdogan sta sostenendo attivamente «i fratelli azeri» e potrebbe non gradire che non sia in alcun modo coinvolto nel processo di negoziazione. Ankara è stata prodiga di armi e di consiglieri militari (oltre che probabilmente di mercenari) ma ora le viene chiesto di stare fuori dalla porta e non interferire con gli sforzi diplomatici di Russia e Francia. Non è certo nel carattere e nelle mire del presidente turco restare a guardare e quindi alza i toni. In una delle sue ultime dichiarazioni, ha accusato l’Armenia di non voler scendere a compromessi.

Per il presidente turco «il conflitto nel Nagorno-Karabakh ha cominciato ad assomigliare a una cancrena che si può curare solo in un modo: amputando». Anche per questo Putin vuole fermare il massacro: il rafforzamento dell’influenza della Turchia nel Caucaso meridionale è un incubo per la Russia che sta diventando sempre più una realtà.

Intanto la guerra prosegue. Michelle Bachelet, Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, ha affermato che l’altro ieri sono rimasti uccisi durante i combattimenti 53 civili, bimbi compresi. La diplomatica ha aggiunto che i combattimenti continuano ad espandersi lungo la linea di contatto del Nagorno-Karabakh, interessando insediamenti al di fuori della zona di conflitto immediata. E un gran numero di edifici residenziali, scuole e altre infrastrutture civili, sono state distrutte.