I golpisti dell’ex Birmania, sempre più in difficoltà, stavolta cercano di smentire. Il colpo che sarebbe stato loro inferto è del resto grande da digerire. Per i ribelli, uno sciame di loro droni ha preso di mira giovedì mattina a Naypyitaw (dal 2005 nuova capitale amministrativa del Myanmar) la residenza del capo della giunta birmana Min Aung Hlaing, il suo quartier generale militare e un’importante base aerea dell’esercito birmano. L’attacco è stato rivendicato dal governo ombra di unità nazionale (Nug), dalla sua ala armata People’s Defense Force (Pdf) e dal Lethal Prop Weapon Team di Shar Htoo Waw.

Fonti diplomatiche occidentali sul posto confermano al manifesto che qualche drone potrebbe essere effettivamente riuscito ad andare a segno.

A quanto dicono i ribelli provocando vittime. «Abbiamo utilizzato 12 droni per il quartier generale, 12 per la base aerea e 4 per la residenza di Min Aung Hlaing», ha dichiarato un portavoce del Kloud Drone Team di Shar Htoo Waw. Per un un’operazione che ha richiesto quasi cinque mesi di preparazione.

Giovedì pomeriggio, la giunta militare ha affermato di aver abbattuto quattro droni diretti all’aeroporto e altri tre puntati sulla cittadina di Zeyar Thiri, dove si trova il loro quartier generale militare. Diffuse anche delle foto di quel che resta di un velivolo senza pilota della resistenza su una pista della base aerea di Aye Lar. Un’infrastruttura ben protetta, confinante con l’aeroporto internazionale della capitale (rimasto chiuso per ore), nel quale ci sono jet da combattimento di produzione russa Sukhoi Su-30, elicotteri, aerei da trasporto e due aerei di linea Fokker 70 riservati proprio al capo della giunta Min Aung Hlaing. Una base aerea oggi dotata di disturbatori di segnale impiegati proprio per prevenire attacchi di questo tipo e già presa di mira nel settembre dell’anno scorso. Volendo provare a far dei conti sulla base di quanto dichiarato da resistenza e militari birmani, se i droni impiegati nell’attacco erano in tutto 28 e ne sono stati abbattuti 7, all’appello ne mancano 21, alcuni dei quali potrebbero quindi effettivamente aver colpito gli obiettivi.

Anche nel caso in cui nessun velivolo senza pilota sia riuscito ad andare a segno, la notizia è in ogni caso importante. Perché i droni della resistenza, come abbiamo già raccontato su queste pagine, sono apparecchi auto-costruiti grazie alle stampanti 3D o acquistati sul libero mercato in grado di trasportare fino a 6 chili di peso, ai quali vengono poi agganciati ordigni esplosivi fatti in casa. Non hanno una grande autonomia, men che mai un lungo raggio d’azione. Come ammettono i ribelli stessi, chi comanda l’apparecchio può farlo al massimo da un chilometro di distanza dall’obiettivo. Il che vuol dire che unità ribelli si sono insediate o sono riuscite ad entrare anche nell’attuale blindata capitale, situata nel cuore del Myanmar. Dove dal 1° febbraio 2021 (giorno del golpe) si è barricata la giunta militare al potere.

Naypyitaw viene descritta come una vera e propria cattedrale nel deserto, divisa per zone d’utilizzo in 8 distretti, con palazzi giganti e strade fino a 20 corsie, sulle quali in caso di necessità possono atterrare anche piccoli aerei. Una città fantasma nella quale si entra praticamente solo se invitati: quattro volte più grande di Londra, non supera il milione di abitanti. A lungo interdetta agli stranieri, non vi sono presenti nemmeno tutte le ambasciate straniere. Quella italiana, aperta dal 1952, è ad esempio rimasta a Yangon, ex capitale e più grande città del Paese. La popolazione, sempre più povera e disperata, odia la giunta, che vivendo nella nuova capitale di soli uffici ha ormai perso il contatto con la realtà. Come dimostra la nuova legge sulla coscrizione, la situazione è sempre più difficile, l’esercito sempre meno motivato e male equipaggiato. I golpisti controllano attualmente meno del 50% del Paese e in mano ai ribelli stanno cadendo sempre più cittadine e posti di frontiera terrestri.