La Francia rifiuta di scusarsi con l’Italia. Il ministero degli esteri italiano prima fa sapere di aver chiesto «spiegazioni e risposte chiare» alle autorità di Parigi, ma poi quando arriva la nota del ministro del bilancio francese (che ha la responsabilità sul controllo alle dogane) nella quale si rivendica l’operato dei gendarmi e non si concede nulla alle proteste italiane, il governo di Roma decide di convocare l’ambasciatore francese. E alzare il livello dell’incidente diplomatico: «Quanto avvenuto avrà effetti operativi immediati sul funzionamento della finora eccellente collaborazione frontaliera», annuncia una nota della Farnesina. Concordata anche con il ministero dell’interno: l’effetto pratico al quale pensa il Viminale è lo stop all’attraversamento oltre frontiera dei doganieri francesi.

Sarebbe una piccola rivoluzione, con effetti pratici sui tempi di attraversamento in treno del confine. Gli agenti della dogana francese, infatti, salgono abitualmente a Modane sul Tgv che da Lione porta a Torino, svolgendo a bordo i controlli alla frontiera, in quel quarto d’ora di percorso (in galleria) che separa l’ultima stazione francese dalla prima italiana, Bardonecchia. Dove, per molti anni, ci sono stati dei locali accessibili alle forze dell’ordine francesi: gli stessi che il comune di Bardonecchia nel 2017 ha concesso in uso alla ong Raimbow4Africa. Venerdì i gendarmi transalpini non hanno informato la polizia italiana di aver fermato, perquisito e poi di voler sottoporre al test antidroga un cittadino nigeriano in regola con i documenti e con il biglietto (da Parigi a Napoli). Per svolgere il test – il comunicato di Parigi sostiene che il nigeriano, che non parla francese, avrebbe acconsentito – hanno preteso l’utilizzo del locale in uso alla ong, dove gli agenti sono entrati in quattro e armati. Parigi sostiene di aver agito nel rispetto degli accordi di Chambéry, firmati nel ’97 in previsione di Schengen dal ministro dell’interno Napolitano e dal collega francese Chevenement, che in effetti autorizzano questo tipo di «cooperazione» nel territorio dell’altro stato (accordi aggiornati nel 2007 da Scajola-Sarkozy). Ma in ogni caso andrebbero avvertite le autorità italiane e gli agenti italiani dovrebbero partecipare.

All’ambasciatore di Parigi a Roma Christian Masset, il direttore generale per l’unione europea della Farnesina Buccino Grimaldi ha espresso «ferma protesta» per la «inaccettabile condotta» della polizia francese e, soprattutto, per la «assenza di risposte alla nostra richiesta di spiegazioni» – un modo per respingere in pieno la nota del ministro del bilancio. Soprattutto le autorità italiane hanno dimostrato che gli agenti della dogana francese di Chambéry sapevano benissimo che i locali di Bardonecchia erano stati concessi – da molti mesi – alla ong che assiste i migranti, e dunque non potevano più essere usati dagli agenti di frontiera. Tanto da essersene lamentati via mail. Particolare che contribuisce a ricostruire l’azione dei francesi come una provocazione. Da tempo infatti la collaborazione frontaliera tra Roma e Parigi è tutt’altro che «eccellente», come pure sostiene la nota diplomatica. E gli episodi di agenti francesi che sconfinano per respingere i migranti si ripetono, anche con conseguenze drammatiche note alle cronache. E questo genere di pratiche, fin qui tollerate, che il ministero dell’interno annuncia adesso di voler interrompere, promettendo uno stop alle «intrusioni».

Dietro la linea della fermezza inaugurata dal governo italiano non sembra però esserci un’attenzione ai diritti umani. Perché la reazione di Farnesina e Viminale si mette in scia a un risentimento sovranista della generalità delle forze politiche. Se la Lega chiede di espellere i diplomatici francesi, Fratelli d’Italia vorrebbe mandare la polizia italiana in armi in territorio francese e il resto della destra accusa il governo italiano di «lassismo». Salvini immagina già di muovere guerra ai doganieri: «Non prendiamo lezioni da Macron, i confini ce le difenderemo da soli», mentre il Movimento 5 Stelle rimanda a lungo ogni reazione e poi approva la reazione italiana (Di Maio) e chiede al governo di riferire in parlamento. Benché dimissionario, il governo non potrà evitare di farlo.