Ormai quando la temperatura dello scontro in corso a Caracas torna a crescere, simmetricamente cresce quella tra Washington e Mosca. La timida apertura di Trump dei giorni scorsi per giungere a un nuovo accordo con Russia e Cina sui missili a corto e medio raggio è già archiviata.

PROPRIO IERI il vice capo aggiunto del Pentagono David Trachtenberg, in una audizione davanti al Congresso ha sostenuto che «gli Usa hanno bisogno di armi nucleari a bassa potenza per contenere la Russia». Per il militare «il motivo per cui abbiamo deciso di seguire la strada delle armi nucleari a bassa potenza si basa sull’osservazione di quanto i russi stanno progettando». Un’implicita conferma del carattere di boutade di molte delle esternazioni di Trump a cui al Cremlino hanno ormai fatto il callo.

Lo scontro tra le due cancellerie è però ora concentrato sulla crisi venezuelana. Due giorni fa il segretario di Stato Pompeo aveva accusato Putin di trattenere a Caracas un Maduro in procinto di volare a Mosca in esilio, con la forza. Un’accusa che potrebbe apparire curiosa ma non lo è, ha affermato il portavoce del ministero degli esteri russo Marya Zacharova. La fake di Pompeo infatti avrebbe il fine di demoralizzare l’esercito e l’opinione pubblica venezuelana.

«Ricorda molto gli scoop di quando nella fase più difficile del conflitto in Siria, si dava Assad in fuga in giorno sì e l’altro anche» ha detto la diplomatica. Si tratta della stessa percezione, secondo il giornale moscovita Vzglyad che si ha anche a Pechino. La Cina in queste ore guarda con grande attenzione a quanto avviene nel paese centroamericano anche se preferisce, come suo costume, assumere una postura più «coperta» e operare per linee interne.

Seppur la sua esposizione con il governo bolivariano è ancora più significativa di quella russa. Il Venezuela è il maggiore destinatario di prestiti cinesi in America Latina. Caracas finora ha ricevuto dalle banche cinesi 50 miliardi di dollari di prestiti e quasi altri 21 miliardi in investimenti, mentre sono 790 i miliardi di dollari iniettati dalla Cina in progetti comuni.

QUALCHE ORA DOPO è giunta la notizia di una telefonata tra il capo della politica estera Usa con il suo omologo russo Sergey Lavrov. Quest’ultimo ha ammonito Washington a «non immischiarsi negli affari interni del Venezuela. Ogni interferenza americana provocherà le più pesanti conseguenze». Il ministro russo ha accusato Washington di sostenere «un colpo di stato, cioè una violazione flagrante del diritto internazionale che non ha nulla a che fare con la democrazia». Lavrov ritiene inoltre che l’intervento Usa «potrebbe portare al collasso la situazione in Venezuela». Lavrov, infine, ha criticato gli Usa sostenendo di voler tornare «alla Dottrina Monroe», esempio mirabile della «mancanza di rispetto non solo al popolo venezuelano ma in generale ai popoli dell’America Latina».