Venerdì scorso le salme di otto tra i lavoratori thailandesi uccisi dal raid di Hamas avevano già fatto ritorno in Thailandia su un volo commerciale. Poi l’aeronautica militare ha organizzato tre rimpatri, il terzo dei quali è arrivato domenica all’aeroporto Don Mueang di Bangkok. Circa 30mila tailandesi lavorano in Israele, principalmente nel settore agricolo: 5mila tra loro nel sud del Paese. Oltre 8mila si sarebbero già registrati all’ambasciata a Tel Aviv per il rimpatrio. Un numero in crescita. Ma tra quei 30mila, alcuni sono obbligati a restare.

SAREBBERO 19 gli ostaggi secondo l’ultima conferma di Bangkok e ieri il neo premier Srettha Thavisin – riportava il Bangkok Post – ha reso noto che sono già in corso «trattative per mettere in sicurezza gli ostaggi» anche se non ha detto come e con chi. Ha aggiunto solo che le autorità thailandesi ci stanno provando in tutti i modi possibili per negoziare il rilascio dei concittadini rapiti. Nonostante thai e argentini costituiscano le due comunità di ostaggi più grandi con quella americana, la loro sorte non solleva grandi attenzioni. Anche tra le vittime del raid di Hamas del 7 ottobre c’erano molti cittadini stranieri, alcuni dei quali hanno visto giusto una nota nelle cronache: come i filippini. O i nepalesi, membri di una comunità di circa 4.500 persone venute dal Nepal per lavoro. Morti leggere.
Peraltro, i numeri su quantità e nazionalità degli ostaggi sono ancora nebulosi. Si fa la cifra tonda di circa 200 ma ce ne sarebbero altri 50 nelle mani di diversi gruppi radicali: trenta per esempio sarebbero prigionieri del Movimento per il Jihad islamico in Palestina. Una ventina di ostaggi poi sarebbero già stati uccisi dai raid israeliani ma potrebbe essere un numero per difetto. Ieri Tel Aviv ha dato un nuovo aggiornamento: 222. Ma questo numero, come gli altri, potrebbe non essere quello esatto.

UNA VENTINA di americani risultano dispersi ma non è chiaro quanti siano esattamente i prigionieri. Forse la metà. Abbastanza per far muovere l’Amministrazione e lo stesso presidente su una questione – la vita dei cittadini americani – che ha sempre la priorità. Secondi per numero sono gli argentini con 21 ostaggi, seguiti dai thailandesi. Un riepilogo dell’agenzia Reuters cita otto tedeschi, sette britannici e sette francesi. Almeno uno è un giovane olandese. Quattro sono i portoghesi-israeliani scomparsi che Lisbona crede in ostaggio. Così è anche per l’israeliana-cilena Dafna Garcovich e il marito spagnolo Ivan Illaramendi. Roma ha confermato anche ieri che due cittadini con doppia cittadinanza italo-israeliana risultano scomparsi, presumibilmente rapiti.

Teoricamente per Hamas i non israeliani rapiti sarebbero solo «ospiti» e dunque dovrebbero essere rilasciati ma non è chiaro esattamente quanti siano coloro che hanno doppia cittadinanza e quanti invece posseggano solo il passaporto di un altro Paese il che dovrebbe fare la differenza. Ma, al momento, non sembra ci siano le condizioni di un loro rilascio.

OGNI PAESE preme a livelli diversi per la trattativa ma, benché nessuno ufficialmente abbia mai messo la nazionalità sulla bilancia delle priorità, è evidente che gli ostaggi (come le morti) hanno un peso diverso. I più “pesanti” sono soprattutto gli americani come dimostra il rilascio di Judith e Natalie Raanan, le due donne – originarie di Chicago con doppia nazionalità – liberate il 20 ottobre. È dunque molto probabile che thailandesi e argentini, le due comunità straniere più grosse con quella americana, si stiano affidando all’alleato pesante. Soprattutto Bangkok, su cui Washington punta molto in Asia nella sua “guerra fredda” con la Cina.