«La persona desiderata non è più qui». Alla signora A, che chiede di restare anonima, è stato risposto così dai funzionari del centro per l’immigrazione di Shinagawa. È uno dei 17 istituti per stranieri irregolari di Tokyo. Era il 18 novembre scorso e l’anziana donna era andata a visitare Gianluca Stafisso, detenuto da poco più di tre settimane. Il giorno dopo, la signora A. legge sul giornale che nel centro di Shinagawa è morto un cittadino italiano per un sospetto suicidio. È una storia presto dimenticata.

Una storia come diverse altre in Giappone, dove negli ultimi 15 anni sono morti 18 stranieri nei centri per l’immigrazione, secondo diversi racconti spesso più simili a prigioni. Una storia su cui arrivano nuovi dettagli, grazie alla testimonianza di Asayo Takazawa, un’interprete che svolge attività di assistenza volontaria per gli stranieri irregolari.

IL GIAPPONE, che di recente ha ospitato il summit del G7 a Hiroshima, è spesso considerato come un fulgido esempio di democrazia in Asia. Ma le sue leggi in materia di immigrazione sono a dir poco stringenti, nonostante un crollo demografico che richiederebbe una facilitazione dell’assimilazione di stranieri. In questi centri ci sono tante persone alla ricerca dello status di rifugiati. «Quasi nessuno lo ottiene», spiega Takazawa al manifesto. Anche se negli ultimi mesi pare sia stata creata una corsia preferenziale per gli ucraini.

Ma finiscono dentro anche coloro a cui è scaduto il permesso di soggiorno e non sono in grado di rinnovarlo. Una volta entrati, è quasi impossibile uscire, se non venendo rimpatriati nel proprio paese di origine. Poco importano i legami costruiti in Giappone.

Gianluca Stafisso

«Essere in pericolo, una madre o un padre di bambini nati e cresciuti in Giappone, non conta. Se il documento è scaduto si resta nei centri, senza limiti di tempo, a meno che non si riesca a ottenere il rilascio provvisorio per motivi speciali. Chi è dentro rimane senza servizi pubblici, senza assicurazione medica e solo noi volontari cerchiamo di aiutarli cercando per loro una casa e portandogli del cibo. Chiediamo agli ospedali di mandare dei medici a visitarli. E poi gli parliamo. Le loro difficoltà non sono solo legali e materiali, ma anche psicologiche», racconta Takazawa.

Tante volte non basta. Come nel caso di Stafisso. Originario di Assisi, l’uomo di 56 anni viveva in Giappone dal 2005. Sposato con una donna locale dal 2008, dal 2020 era finito a vivere sotto un ponte nello stesso quartiere dove viveva con la moglie. L’uomo, un fotografo che avrebbe sofferto di problemi di salute a livello psicologico, aveva testimoniato più volte la sua situazione in video pubblicati sui social.

CON LA FINE del matrimonio era anche rimasto senza permesso di soggiorno valido, dopo quasi due decenni di permanenza regolare in Giappone. Dopo oltre due anni di vita da clochard, a inizio ottobre 2022 il personale di un’azienda incaricata del rivestimento del ponte sotto cui si era sistemato gli chiede di andarsene. Di lì a poche settimane dovevano iniziare i lavori. Ma la signora A., che lo vedeva lì da qualche tempo e ci aveva fatto amicizia, prova ad aiutarlo.

Come racconta Takazawa, la donna si reca il 5 ottobre al centro immigrazione di Shinagawa, spiega di voler procurare una dimora a Stafisso e si offre di diventare la sua garante per consentirgli di ottenere i documenti necessari a non lasciare il paese. Eppure, il 25 ottobre degli impiegati del centro vanno a prelevarlo. Lei gli fa visita, convinta che la situazione burocratica possa risolversi vista la sua offerta. Non è così. Il 18 novembre viene trovato morto dopo aver trascorso tre settimane in isolamento.

«In quel momento la prassi era di due settimane di isolamento a causa del Covid, non si sa perché lui ci sia rimasto più a lungo», spiega Takazawa. Secondo la ricostruzione ufficiale, Stafisso si sarebbe suicidato con una scarica elettrica del cavo televisivo della sua stanza. Nessun bigliettino, nessun messaggio.

«La novità grave è che c’era una famiglia pronta ad accoglierlo e quel desiderio di aiuto è stato ignorato», dice Takazawa. Non solo. Secondo nuove informazioni rese pubbliche dai media giapponesi, le autorità italiane avevano notificato al centro le difficoltà di salute di Stafisso, che avrebbero consigliato cure supplementari.

IL SOSPETTO è che il centro lo abbia lasciato in isolamento per evitare problemi relazionali con gli altri “ospiti” del centro. O per evitare di mostrare che stava detenendo una persona non sana. Takazawa spiega di aver inviato una lettera di protesta alle autorità, con l’aiuto di un parlamentare della Camera alta giapponese, Taiga Ishikawa. Un piccolo segnale che forse la politica proverà a intervenire su regole e centri.

Nel frattempo, il 10 gennaio scorso la signora A. scopre che il corpo è stato cremato. Dal 18 gennaio il vaso delle ceneri di Stafisso si trova nella casa dell’anziana. Ci sono diversi altri casi tragici. Nel marzo 2021 è morta Wishma Sandamali, 33enne originaria dello Sri Lanka, trovata senza vita dai dipendenti del centro di Nagoya a causa di problemi di salute. I volontari lamentano la noncuranza degli impiegati, che non avrebbero fornito assistenza e le cure necessarie per salvarla.

«Non posso accettare tutta questa crudeltà disumana da parte dell’amministrazione del mio paese – dice Takazawa – Voglio che le cose cambino».